Digital Tax (Parte 2): Trump sfida la Francia

È dell’ultimo periodo la notizia che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump avrebbe minacciato la Francia di aumentare i dazi per le importazioni. Le variazioni sarebbero addirittura del 100% su 2,4 miliardi di made in France. A meno che quest’ultima non decida di fare dietrofront sulla cosiddetta Digital Tax. La minaccia di Trump è contenuta in un Tweet rivolto alla sua controparte francese:

La Francia ha appena apposto una Digital Tax sulle nostre più importanti aziende tecnologiche. Se qualcuno dovrebbe tassarle, dovrebbe essere la loro nazione di origine, gli Stati Uniti. Annunciamo a breve una sostanziale azione reciproca sulla follia di Macron. Ho sempre detto che il vino americano è meglio di quello francese!

La minaccia grava soprattutto su prodotti come vino, borse e formaggi, simbolo dell’eccellenza francese e famosi in tutto il mondo. Trump critica paesi come la Francia e l’Italia, colpevoli, a suo dire, di crescente protezionismo.
Per comprendere il perché di una presa di posizione così dura, è necessario analizzare le implicazioni politiche ed economiche dell’introduzione di una tassazione digitale.

Un giro di affari che solo in Italia si attesta a 2,4 miliardi

Per rendersi conto di quanto il problema sia attuale e importante, basta dare un’occhiata ai dati dell’ultimo studio di Mediobanca sulle performance dei grandi colossi del web e dell’Internet retailing. Lo studio ha analizzato ventuno tra le più grandi Software & Web companies. A livello mondiale si parla, per il solo 2018 e per il totale delle vendite di tutte queste grandi aziende, di 850 miliardi, mentre in Italia di 2,4 miliardi.
Si tratta, in genere, di compagnie che si dedicano all’internet retailing (come Amazon) o di compagnie dedite alla produzione di servizi online o di software.

Il settore digital è in continua crescita, con un incremento sia del fatturato che dell’occupazione. Guardando a questi numeri, si capisce bene come sia necessaria una tassazione fiscale con principi validi per ogni nazione. Sfortunatamente, tutto questo non è ancora stato raggiunto, e queste imprese possono sfruttare la zona grigia generata da leggi non omogenee. Sebbene uno dei principi della tassazione fiscale rimandi al pagare le tasse nella nazione dove vengono generati gli utili, non sempre è così. Spesso, infatti, ci si trova di fronte a vere e proprie strategie di evasione fiscale.

La strategia delle imprese cinesi

Secondo i dati forniti da Mediobanca, imprese come quelle cinesi avrebbero fissato come sede esecutiva il proprio paese di origine, mentre il registered office avrebbe sede alle isole Cayman, paese noto per i benefici fiscali.

Trump e il modello a fiscalità agevolata

Negli Stati Uniti, dal dicembre 2017, le imprese tech beneficiano della riforma fiscale Tax Cuts and Jobs Act. Tra i punti salienti della riforma troviamo: la riduzione permanente dell’aliquota fiscale societaria dal 35% al 21%; l’introduzione di un nuovo sistema di tassazione territoriale e di un’imposta una tantum, la cosiddetta One-Time Transition Tax sul rimpatrio di utili generati e accumulati all’estero prima del 2018 da società americane. Questo con l’obiettivo di favorire il rimpatrio di capitali appartenenti a società americane “parcheggiati” all’estero. Come ultimo punto la deducibilità immediata delle spese di investimento limitatamente ai prossimi cinque anni, per spingere le imprese ad accelerare le loro decisioni.

Questa riforma, fortemente voluta da Trump, da un lato punta ad agevolare le imprese statunitensi con la riduzione dell’aliquota fiscale societaria. Dall’altro l’obiettivo è di spingere queste aziende a produrre negli Stati Uniti, creando utile e valore nel paese d’origine, favorendo il rimpatrio dei capitali all’estero. In generale, il modello statunitense, combinato al modello a fiscalità agevolata presente in diversi paesi, ha permesso ai giganti del tech di risparmiare circa 49 miliardi in tasse in cinque anni.

Trump vs. Macron

Analizzando questi numeri, intuiamo come la decisione di Macron danneggi gli interessi economici statunitensi, in particolare delle aziende che pagano le tasse negli Stati Uniti. Dietro quello che sembrerebbe essere un battibecco tra capi di stato, ci sono in ballo importanti interessi economici.

Trovate qui la prima parte dell’articolo.

 

A cura di

Miriam Salamone


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