Revenge Porn: una definizione

Che cos’è il Revenge Porn?

Con il termine Revenge Porn si usa identificare un fenomeno, oggi penalmente previsto e punito con una norma apposita, ma perseguito da molti anni sotto altre fattispecie di reato, per cui un soggetto, che sia in possesso a vario titolo di contenuti sessualmente espliciti di un altro soggetto, li condivide, fisicamente o a mezzo di strumenti telematici o informatici.

Perché accade:

L’origine di tale condotta ha – come il termine stesso ricorda – una matrice dimostrativa e vendicativa. All’alba di questo nuovo millennio, infatti, sono nati i primi siti web dove, solitamente partner abbandonati o traditi, ma anche colleghi di lavoro, ex amici o perfino sconosciuti, potevano far pubblicare a scopo di rivendicazione fotografie o video ritraenti soggetti reali intenti a pratiche sessuali oppure, più banalmente, in atteggiamenti discinti e/o disdicevoli. Il “successo” di questi contenitori ne ha dapprima incrementato il proliferare, per cui sono cresciuti numericamente ma anche quanto a tipologie di divulgazione, venendo quindi a categorizzarsi, specializzarsi e distinguersi a seconda dei materiali diffusi (che spaziavano dalla pornografia domestica ad altre sotto-classificazioni), e quindi ne ha imposto la battaglia per la chiusura e l’oscuramento. Se tale operazione, però, si è rivelata più immediata quando le vittime fossero minori di età, tutt’altro che semplice si è rivelata e tuttora si prospetta negli altri casi, dove il confine tra consentito e consensuale è molto labile rispetto all’area dell’illecito.

Oggi il fine di vendetta non è contemplato dalla norma incriminatrice, per cui il soggetto agente può essere punito indipendentemente dal suo movente, che potrà quindi essere il più vario, dal divertimento all’interesse economico e così via (con l’accortezza di cui si dirà oltre a proposito dei revenger di secondo grado). Negli ultimi anni si è assistito a fenomeni di vera e propria profilazione, per cui con tecniche di ingegneria sociale gruppi organizzati andavano a selezionare vittime aventi caratteristiche personali precipue (isolamento, vulnerabilità) per farne i propri zimbelli in veri e propri contest online (Pull-a-pig).

Le conseguenze:

Il Revenge Porn si diffonde soprattutto in rete e, pertanto, assume le caratteristiche tipiche dei comportamenti asseritamente virtuali: è amplificabile, perché non si esaurisce in un semplice ed isolato post; è persistente, perché nel web il concetto di “per sempre” è prossimo al vero, tant’è che quando si cerca di arginare la visione di quei contenuti, li si può deindicizzare, quindi limitarne la visibilità, ma difficilmente li si cancella definitivamente; è virale, ad opera del c.d. effetto social, che fa perdere il controllo sul dato immesso. Per questa ragione, le conseguenze in termini di offesa alla reputazione della vittima, di sensazione di immanenza della diffamazione, di persecuzione nel mondo reale dello scadimento di immagine subìto nel mondo virtuale possono comportare depressione, astenia, pensieri invasivi sino al desiderio di suicidio ed alle manovre anticonservative.

Come tutelarsi:

Dal mese di agosto 2019, grazie ad una legge nota come Codice Rosso, il Revenge Porn, quando si presenta con le caratteristiche previste dalla norma (vedi infra, normativa vigente) è un delitto contro la persona, punito in maniera severa. Vedremo tra poco come lo stesso articolo 612 ter codice penale indichi elementi utili per tutelarsi. Venendo qui a specifici rimedi, va segnalato come da marzo 2021 il Garante per la protezione di dati personali abbia deciso di collaborare con il social Facebook mettendo a disposizione del proprio sito un canale di emergenza per tutti coloro che temano di essere vittime di RP, al fine di bloccare la diffusione. Dall’8 marzo le persone maggiorenni che abbiano questa paura possono segnalare in modo “sicuro e confidenziale” foto e video da bloccare. Sulla pagina dedicata del sito del Garante, appare un modulo per fornire informazioni utili per valutare il caso nonché un link dove caricare le immagini che poi FB cifra utilizzando un codice hash che le rende irriconoscibili prima di distruggerle. Una tecnologica di comparazione bloccherà quindi quei contenuti per evitarne pubblicazioni ulteriori.

Da segnalarsi anche le agenzie e le start up che forniscono servizi di cristallizzazione della prova con metodologie forensi e quindi aiutano a rimuovere i contenuti sensibili.

Normativa vigente:

L’art. 612 ter codice penale punisce con la pena da uno a sei anni e la multa da 5 a 15mila euro cinque tipologie di condotta (inviare, cedere, consegnare, pubblicare e diffondere) e quattro categorie di revengers, distinte tra primo comma (chi dopo aver realizzato o sottratto) e secondo comma (che ha ricevuto o comunque acquisito). La grande differenza tra i due gruppi sta nel fatto che gli appartenenti al secondo saranno puniti solo laddove si provi che abbiano agito al fine di arrecare nocumento. L’oggetto sono contenuti sessualmente espliciti. La condizione è che manchi il consenso alla divulgazione da parte della persona interessata. Quindi la prima, più banale accortezza è che si esprima apertamente il dissenso: nell’era della messaggistica istantanea, non è difficile immaginare che un comunicato anche via whatsapp del genere “questa foto è solo per te, non farla vedere a nessuno” possa integrare la condizione.

Per le vittime minori di età restano in vigore tutte le norme sulla pedopornografia.

Testo a cura dell’Avvocato Alessia Sorgato


Per informazioni sul progetto del Garante della Privacy è possibile consultare la pagina Facebook del progetto, così come quella del Garante della Privacy

FONTI:

Alessia Sorgato, Revenge porn, aspetti giuridici, psicologici e informatici, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020

CREDITI:

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