Vita virtuale e vita reale

Vita virtuale e vita reale

Un uomo, uno dei più ricchi al mondo, si guarda allo specchio; ma non uno specchio qualunque. È infatti uno schermo, in cui vede se stesso in versione digitale: sorride al proprio avatar. E allora capisce. Attraverso quella versione di sé può vivere esperienze che nella quotidianità gli sono precluse, come andare a fare surf. Non stiamo parlando di una scena della serie Black Mirror, ma del video di presentazione della realtà virtuale prospettata da Mark Zuckerberg e dal suo Meta. Eppure, quando si parla di vita virtuale, siamo sicuri di sapere bene di cosa si tratta? E soprattutto vita virtuale e vita reale si contrappongono?

 

Virtuale è reale

Ancora oggi si tende a contrapporre vita reale e vita virtuale. Si pensa che il passaggio logico dall’idea che la comparsa del virtuale abbia messo in crisi la nostra concezione di realtà all’affermazione che la vita virtuale sia, per questo, nemica giurata della vita reale sia corretto. Tuttavia, molti studiosi sono concordi nell’affermare che le cose non stanno esattamente in questo modo. E non è una teoria così recente come potrebbe sembrare.

Lo sosteneva già negli anni Novanta Philippe Quéau, giustificando la sua idea con un procedimento piuttosto classico. Richiamava infatti l’etimologia della parola “virtuale”, che, come tante parole delle lingue romanze, viene dal latino. Basti sapere che “virtuale” contiene nella radice il termine vir, uomo. La realtà virtuale si va dunque a costituire come un livello di realtà totalmente prodotto dall’essere umano, un reale che prima non esisteva. È quindi terreno di espressione della progettualità umana, di tutto ciò che la nostra mente riesce a pensare. Certamente il virtuale apparirà dunque differente dal reale, ma non in contrapposizione con esso.

Perciò, non occorre tanto mettere in competizione vita reale e vita virtuale, quanto inglobare entrambe in un concetto di realtà più ampio e ricco del precedente. Da questa riflessione emerge con chiarezza la relazione stretta tra le due vite. Esse si influenzano: l’una ha conseguenze sull’altra, l’una trasforma l’altra.

 

Una vita virtuale priva di conseguenze?

La vita virtuale ricopre ormai un ruolo imprescindibile nell’esistenza di tutti. Il fatto che sia prodotta dalla mente umana non la rende, però, esente da conflitti ed effetti negativi. Esattamente come la vita reale, anche quella virtuale alimenta, infatti, dinamiche di interazione tra persone, le quali influenzano la percezione che ciascuno ha di sé e dell’altro. La caratteristica più evidente della vita virtuale è l’assenza di corporeità. Ognuno può assistere al concerto o all’evento più importante della sua esistenza, ma non vederlo con i propri occhi; tutti possono parlare con tutti senza mai avere davanti un corpo in carne e ossa.

Questo aspetto non è privo di effetti: ad esempio, radicalizza la tendenza a sottovalutare che ci sia una persona dall’altra parte dello schermo. Ciò comporta una deresponsabilizzazione rispetto alle proprie parole e alle proprie azioni. Niente di più sbagliato. Chi subisce quelle parole e quelle azioni porta con sé il disagio, lo percepisce nella propria corporeità di essere umano, lo assimila. Per questo è fondamentale comprendere la relazione profonda tra vita reale e vita virtuale: affinché quel mondo di potenzialità pensato dall’essere umano sia il più virtuoso possibile.

 

I ritirati sociali: l’esodo dalla vita reale

L’idea che la vita virtuale si contrapponga a quella reale si accompagna alla credenza che il ritiro, sempre più frequente, dalla vita reale sia causato dal desiderio di far prevalere la dimensione virtuale. Il fenomeno dei ritirati sociali è comparso nella società giapponese (con gli ormai famosi hikikomori), ma si sta espandendo anche in società apparentemente differenti da essa.

Anche se non sono presenti dati ufficiali, le stime affermano che in Italia sono almeno centomila le persone che hanno scelto il ritiro dalla vita reale. Ciò, però, non ha a che fare con la fascinazione che il digitale può esercitare. Nella maggior parte dei casi, affermano studi psicologici condotti attraverso l’analisi di casi di ritiro sociale, il rapporto con il virtuale di chi decide di allontanarsi dal reale non equivale a una relazione di dipendenza. Al contrario, il digitale si denota come l’unica possibilità per questi soggetti di mantenere un contatto con l’altro e con il mondo esterno.

Per questo la soluzione al problema non è tanto ridurre la presenza nella vita virtuale dei ritirati sociali, quanto permettere loro di rientrare nella vita reale. Tra le cause più frequenti di questo fenomeno si trova la pressione sociale, ossia la sensazione costante di dover essere performanti al massimo in ogni ambito dell’esistenza. È quello che la società moderna pretende da ognuno di noi. Con ciò, non bisogna illudersi che questo meccanismo non si rifletta anche nella vita virtuale, attraverso l’ansia di dover apparire perfetti nelle foto o di dover ottenere quanti più consensi possibile. Tuttavia, la radice della questione si situa nella vita reale, ed è lì che bisogna cercare il terreno fertile per una possibile soluzione.

 

Vita virtuale e vita reale: un cambio di prospettiva

L’idea non è quindi di esaltare un livello di realtà o l’altro. Questa sarebbe una presa di posizione immotivata e ingenua, poiché nessuna realtà è esente da conseguenze negative, conflitti e contraddizioni. Occorre, piuttosto, integrare i due mondi, rendersi consapevoli dell’intreccio che ormai si è costituito e cercare di leggere una realtà alla luce delle possibilità che apre l’altra, e viceversa. Solo in questo modo potranno esserci un dialogo costruttivo e un equilibrio tra vita reale e vita virtuale.

 

A cura di

Benedetta Saraco


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