Coronavirus: smascherare le fake news

In questi giorni, soprattutto dopo l’annuncio dei primi casi in Lombardia, il mondo e l’Italia sono in allarme per l’arrivo di un nemico che prende il nome di coronavirus. Ma di cosa si tratta esattamente? Le notizie che sono circolate al riguardo sono molteplici e hanno contribuito a creare un forte senso di preoccupazione generale. Vi è stato un vero e proprio boom di articoli che identificavano questo virus come la nuova minaccia del XXI secolo.

Prima di spaventarsi, conviene fare un po’ di chiarezza e approfondire l’argomento per capire se possa effettivamente mettere a rischio la propria incolumità oppure se – pur ammettendo che non sia affatto da sottovalutare – sia necessario ridimensionare il caos. Questo allarmismo si è creato soprattutto a causa dei media, che hanno diffuso notizie non attendibili e non in relazionate alla pandemia da coronavirus.

L’infodemia coronavirale

Rispetto alla diffusione incontrollata di notizie riguardanti il coronavirus è intervenuta l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) coniando il termine “infodemia”, utilizzato per indicare quella:

Sovrabbondanza di informazioni – alcune accurate altre no – che rende difficile alle persone trovare fonti attendibili e indicazioni affidabili quando ne hanno bisogno.

Questa pioggia di notizie spesso incrocia e confonde la verità e la falsità, i miti, le leggende e le dicerie che rischiano di influenzare negativamente il comportamento sociale di ciascuno. A tal proposito, l’OMS ha ritenuto necessario impegnarsi per limitare al minimo il rischio di un’errata comunicazione, e per questo motivo lavora duramente per sostituire le fake news con informazioni basate sull’evidenza e con prove scientifiche reperibili sulle sue piattaforme social.

Nonostante questa missione, però, il problema “confusione” continua a persistere. Fortunatamente per quelli che stanno cercando risposte chiare, l’organizzazione stessa ha dedicato un’apposita sezione del proprio sito intitolata “Novel Coronavirus (2019-nCoV) advice for the public”, disponibile in varie lingue, e che permette l’accesso a specifiche infografiche sull’argomento.

Inoltre, per evitare di cadere nel tranello e credere a informazioni frammentarie e poco accurate, è sicuramente consigliato fare riferimento al sito del Ministero della Salute che viene regolarmente aggiornato sugli sviluppi del virus e sugli eventuali pericoli per la salute dei cittadini.

Che cos’è il coronavirus?

Dicono che per combattere una paura sia necessario affrontarla, ma soprattutto conoscerla. Il coronavirus si è diffuso a partire dalla Cina, precisamente dalla città di Wuhan. Generalmente i primi sintomi sono quelli comuni all’influenza: ovvero febbre, tosse, con la complicazione del respiro affannoso e sindromi respiratorie più gravi, come polmoniti.

Il contagio

Questo virus viene trasmesso da una persona infetta a un altro soggetto attraverso la saliva, quindi anche tramite tosse e starnuti. Inoltre, il virus si può trasmettere attraverso il contatto diretto con un soggetto infetto, oppure toccando una superficie già contaminata, portando poi le mani non lavate alle mucose (naso, bocca e occhi).

Le precauzioni

Conviene sempre mantenere una buona igiene personale. In particolare, è consigliato lavarsi spesso le mani con acqua e sapone per almeno venti secondi, oppure, se questo non è possibile, utilizzare un gel igienizzante/disinfettante che contenga almeno il 60% di alcool (es. Amuchina). In caso di starnuto, è fondamentale usare un fazzoletto (con modalità usa e getta) oppure, in mancanza di questo, starnutire nell’incavo del braccio all’altezza del gomito.

Mascherina: si o no?

L’OMS consiglia di utilizzare la mascherina soltanto nel caso in cui si sospetta di aver contratto il virus, oppure si assistono persone infette. Il suo utilizzo limita l’eventuale il contagio e la diffusione del virus, ma la mascherina deve essere adottata insieme alle altre misure di protezione, ovvero lavarsi le mani regolarmente e cercare di starnutire/tossire nel fazzoletto o nella piega del braccio. Per di più, non è utile usare più di una mascherina contemporaneamente.

Di fatto quindi, questo strumento non funge da scudo per i soggetti sani, soprattutto se si indossano le mascherine “sbagliate”. Esistono vari tipi di mascherine a seconda della funzione, e non tutte sono considerate DPI (Dispositivi di Sicurezza Individuale). Per rientrare nei DPI, devono rispettare “i requisiti essenziali di salute e di sicurezza e delle procedure di valutazione della conformità”, così come previsto dal Regolamento UE 2016/425.

A tal proposito l’OMS ha prescritto un dispositivo conforme alla norma EN 149 (classe FFP2 o FFP3 con efficacia rispettivamente del 92% e del 98%) con marcatura valida CE seguita dal numero dell’Organismo di Controllo che ne ha autorizzato la commercializzazione. Si tratta di una:

Semi-mascherina di tipo filtrante antipolvere che copre naso, bocca e mento, costituita interamente o in larga parte da materiale filtrante, idoneo e comprovato che protegge contro gli aerosol sia solidi che liquidi.

Spiega Assosistema Safety. Continua poi aggiungendo che:

Queste mascherine sono particolarmente diffuse nelle strutture sanitarie, anche per prevenire il contagio del personale medico e paramedico da agenti infettivi, e rappresentano un mezzo importante di protezione contro il rischio biologico.

Inoltre, rimanendo sempre in campo medico, sono classificabili come DPI anche gli occhiali, i guanti e le tute.

Come mettere e togliere la mascherina?

Per indossare la mascherina correttamente, il Ministero della Salute ha elencato nel suo sito i vari passaggi da seguire:

  • Prima di indossarla, bisogna lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone oppure con un gel igienizzante;
  • Coprire bocca e naso assicurandosi che aderisca perfettamente al volto;
  • Evitare di toccarla mentre la si indossa, altrimenti è necessario lavarsi nuovamente le mani per sicurezza;
  • Quando si inumidisce, conviene gettarla (essendo appunto mono-uso), e sostituirla con una nuova;
  • Per rimuoverla, bisogna prenderla dall’elastico, senza toccare la parte anteriore e poi buttarla subito in un sacchetto, che poi verrà chiuso, e alla fine lavarsi le mani.

In linea generale, è giusto pensare a come proteggersi, ma allo stesso tempo è fondamentale capire che dispositivi utilizzare e in che modo, per far sì che svolgano la propria funzione correttamente; è importante seguire le istruzioni del fabbricante e verificare la tenuta della mascherina stessa.

Coronavirus e fake news

Come anticipato inizialmente, sul web circolano una quantità spropositata di notizie in merito al virus, che sono spesso imprecise o addirittura errate. La principale perplessità riguarda le modalità di diffusione.
Le ipotesi sono state tante, spesso traviate dal timore e da una fervida immaginazione, che insieme hanno dato vita a una combo letale: a partire dal cibo, passando per le spedizioni provenienti dalla Cina, fino agli animali domestici come possibili veicoli del contagio. Il web ha cercato in tutti i modi di trovare qualcosa/qualcuno da imputare.

I pacchi provenienti dalla Cina

Sono moltissimi gli utenti che, nelle ultime settimane, si sono chiesti se fosse rischioso acquistare su siti come Wish, Ali Express o altri e-commerce che spediscono i loro ordini dalla Cina. La risposta a questo dubbio proviene dal CDC (Centers for Disease Control and Prevention), il quale spiega che, nonostante le indagini riguardanti il virus e il suo contagio siano ancora in fase di elaborazione, è possibile notare come questo non sia in grado di sopravvivere sulle superfici, e di conseguenza è improbabile che la sua diffusione possa avvenire tramite prodotti e imballaggi. Per di più non c’è stato alcun caso di infezione registrato secondo queste dinamiche.

Inoltre, a escludere in maniera definitiva questa possibilità, è intervenuto Christian Lindmeier, portavoce dell’OMS, affermando che, sempre per il fatto che il virus non può sopravvivere a certe condizioni ambientali e a certe tempistiche (dato che i pacchi arrivano dopo settimane), il rischio di contrarlo attraverso i pacchi è nullo.

Psicosi da mascherina

In seguito all’allarme coronavirus, molti proprietari di animali domestici hanno pensato di “proteggersi” facendo indossare delle mascherine ai loro amici a quattro zampe. Quelli più fantasiosi le hanno ricavate da oggetti di uso quotidiano quali calze o bicchieri usa e getta. In particolare è diventata virale sui social la foto di un ragazzo che al suo gatto, portato al guinzaglio, aveva fatto indossare una mascherina nella quale aveva ritagliato due buchi solo per gli occhi. A oggi non c’è ancora alcuna prova in merito alla trasmissione del virus per mezzo di animali domestici, infatti l’OMS ha voluto specificare che:

Non vi sono prove che animali domestici come cani o gatti possano essere infettati dal nuovo coronavirus. In ogni caso è sempre una buona idea lavarsi le mani con acqua e sapone dopo aver toccato degli animali. Questo protegge da vati batteri comuni come E.coli e Salmonella che possono trasmettersi dagli animali all’uomo.

Uso inappropriato di antibiotici

L’auto-prescrizione di antibiotici è un’altra delle conseguenze scatenate dalla fobia del coronavirus. Questa pratica, oltre che essere terribilmente nociva, è anche inefficace, perché gli antibiotici vengono assunti per contrastare i batteri, non i virus. Per di più, con l’uso così disinvolto, nonché l’abuso di questi medicinali, si rischia di creare una farmaco-resistenza.

Virus creato dagli americani

La tv di stato russa ha contribuito a diffondere diverse teorie di complotto riguardo il virus. Infatti, secondo un servizio del programma Vremya, il virus sarebbe stato creato a tavolino dagli americani, e Trump sarebbe la mente dietro a tutto ciò. Sono in molti a credere che sia stato proprio lui a ordinare la creazione del virus. Questo perché, stando a queste teorie, prima di essere nominato presidente, Trump organizzava concorsi di bellezza e premiava le vincitrici con una corona. Quindi, il fatto che si chiami coronavirus non sarebbe dovuto alla sua forma, simile a una corona reale, ma bensì al precedente ruolo di Trump.
Inoltre, a questa ipotesi è connessa l’idea che il virus, in qualche modo, rappresenti un’arma di distruzione di massa, messa a punto in uno dei laboratori militari statunitensi, per sabotare la Cina.

Chiaramente, nessuna di queste teorie ha delle basi scientifiche o fondate su fatti reali, ma sono solo mere speculazioni su un argomento delicato.

L’unione fa la forza: le campagne social

Molte persone, soprattutto i giovani, hanno sentito l’esigenza di rispondere a questa ondata immotivata di disprezzo e cinismo nei confronti delle persone cinesi utilizzando i social network come mezzo di protesta e di opposizione. Attraverso l’appello pubblicato da Lou Chengwang, ragazzo di origini cinesi residente in Francia, l’hashtag #jenesuispasunvirus (ispirato a quello di #jesuisCharlie lanciato nel 2015 dopo l’attentato a Parigi) è diventato virale. Questo ha dato vita a una vera e propria campagna social. Nella foto su Twitter, il ragazzo regge un foglio in mano con scritto:

Sono cinese, ma non sono un virus. Capisco che tutti abbiano paura, ma non abbiate pregiudizi, per favore.

E ancora, per dire basta ai pregiudizi, degli studenti dell’istituto tecnico professionale Dagomari di di Prato (Toscana) hanno dato il via a una campagna su Instagram con foto in cui abbracciano un compagno cinese usando l’hashtag #viralicontroilvirus. Per partecipare è sufficiente postare una foto corredata di hashtag, che mostri:

Un abbraccio, un selfie, un’immagine significativa capace di stemperare la tensione e allontanare lo spauracchio della diffidenza nei confronti dei cittadini cinesi.

Infine, anche Milano ha voluto dire la sua. Il profilo Instagram di A Milano puoi ha accolto la bacchetta challenge. Questa sfida consiste nello spostare, usando le bacchette, nove oggetti da una ciotola all’altra nel minor tempo possibile. È una maniera alternativa e creativa ideata per combattere la discriminazione. Questo stesso profilo ha inoltre lanciato l’hashtag #IoVadoAlCinese, per contrastare la psicosi verso i ristoranti cinesi che si stava diffondendo nella città meneghina. In particolare, Francesca Noè – la foodblogger dietro questo profilo – fa riferimento alla desolazione che sembra essere dilagata nella Chinatown milanese, in zona Paolo Sarpi. In pochissimi giorni sono migliaia ad aver risposto al suo appello.

Per rendere poi l’idea ancora più concreta e significativa, si è svolta ieri a Milano la Notte delle bacchette. Questa iniziativa ha permesso di mangiare in alcuni ristoranti orientali aderenti devolvendo la metà del ricavato alle comunità colpite dal coronavirus.

 

A cura di

Rebecca Brighton


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