Diritto all’oblio: riservatezza e GDPR

Con la rapida evoluzione dei mezzi di comunicazione e l’avanzare della tecnologia, nella nostra quotidianità si è sviluppata anche una nuova terminologia. Non sempre, però, il linguaggio che viene usato per definire determinati fenomeni è chiaro alla collettività degli utenti. Spesso i termini vengono infatti utilizzati in modo erroneo o fuorviante, e proprio per questo motivo è necessaria un’educazione civica digitale che istruisca non solo agli utilizzi degli strumenti informatici ma anche al corretto significato dei nuovi termini.

Un nuovo termine: il diritto all’oblio

Tra i termini che frequentemente si sentono utilizzare, possiamo trovare quello di diritto all’oblio. Pochi sanno di cosa si parla quando si menziona questo fenomeno, che è spesso frainteso in quanto piuttosto complesso. Quando si parla di diritto all’oblio innanzitutto si entra in un campo diverso e più ampio rispetto a quello della vita quotidiana, ovvero quello giuridico.

Si può definire il diritto all’oblio, nel quadro di un’educazione civica digitale, come il diritto di ciascun soggetto a non vedere diffuse ripetutamente notizie riguardanti il suo conto. In parole più semplici, il sacrosanto diritto di ognuno di essere dimenticato; soprattutto laddove ciò che viene ripetutamente diffuso è qualcosa di negativo, sorpassato o non aggiornato, e che soprattutto finisce per macchiare la reputazione di una persona.

Diritto all’oblio vs. diritto di cronaca

Il concetto di diritto all’oblio entra però in collisione con un altro importante diritto: il diritto di cronaca (ve ne abbiamo parlato qui). La collettività ha infatti il diritto di essere informata su un determinato fatto o evento; ma così facendo si può violare la volontà del soggetto in discussione. Allora, come risolvere questa incompatibilità? Ovviamente non esiste una risposta assoluta e applicabile a ogni caso. Sicuramente è necessario trovare una sorta di equilibrio, rispettando i diritti di entrambi, senza danneggiare nessuno.

La volontà di un soggetto di essere dimenticato non riguarda la tutela dell’immagine personale ma la tutela della propria immagine pubblica; di quello che la collettività può pensare e dell’idea che questa può crearsi basandosi su fatti negativi che risalgono al passato di qualcuno. Parlando di oblio si entra dunque nell’ambito della riservatezza, che deve essere garantita a ogni cittadino. Per molti anni questo non è stato però possibile, in quanto non esistevano norme giuridiche che definissero e disciplinassero in modo chiaro la questione. Nel 2014, però, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha emesso una sentenza volta proprio a chiarire ciò che concerne il diritto all’oblio. Il documento sancisce che, se la pubblicazione continuativa di materiale (fotografico, video o una notizia relativa al trascorso di un individuo) danneggia il soggetto interessato, il responsabile può essere sanzionato dalla legge.

Diritto all’oblio o riservatezza?

Ovviamente sarebbe erroneo sovrapporre il diritto all’oblio con il concetto di riservatezza e, nell’ottica di un’educazione civica digitale, è opportuno che i due termini siano separati e ben distinti. Il diritto all’oblio parte dal presupposto che la riservatezza di un soggetto sia già stata violata. Le notizie riguardo il conto dell’individuo sono già state diffuse in passato, per esempio per esigenze di cronaca. L’oblio riguarda la reiterazione della diffusione di tali informazioni, che danneggia il soggetto anche quando le notizie in questione non hanno più alcuna influenza sul presente.

L’equilibrio tra il diritto della collettività a conoscere i fatti di cronaca e il diritto all’oblio di una persona entrano ovviamente in collisione. La Cassazione negli ultimi anni ha introdotto un principio di equilibrio tra la pubblicazione di una notizia e l’effettivo interesse pubblico che questa può avere. Ovviamente l’avanzata del web non ha semplificato la faccenda in quanto è veramente difficile eliminare le tracce di una notizia, per quanto questa possa essere vecchia.

Cosa è cambiato con il GDPR?

L’entrata in vigore del GDPR, il 25 maggio 2018, è passata alla storia come una svolta epocale. Il GDPR è il nuovo regolamento europeo per la protezione dei dati personali, e ha sicuramente contribuito alla regolamentazione di tutto ciò che concerne il diritto all’oblio, anche se non in modo incisivo. Secondo questo nuovo regolamento, infatti, l’unica cosa che, almeno giuridicamente parlando, è possibile fare per tutelare il singolo è cancellare sotto sua richiesta i propri dati, in vigore del fatto che non sono più utili alla finalità per il quale erano stati inizialmente raccolti.

Sicuramente la questione del diritto all’oblio ha fatto dei passi in avanti, soprattutto negli ultimi anni, in cui il boom di internet ha portato alla luce nuove problematiche prima inesistenti. Ma affinché sia possibile superare definitivamente il problema è necessario prima di tutto diffondere, attraverso un’educazione civica digitale dell’utenza, la consapevolezza della terminologia e soprattutto delle norme che regolano determinate questioni. Queste, talvolta, possono essere sottovalutate, come spesso avviene per tutto ciò che è inerente alla privacy su internet.

 

A cura di

Chiara Basile


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