Facebook Rooms, una nuova funzione per videochiamate

L’epidemia da Coronavirus ha spostato il baricentro del lavoro verso lo smart-working, costringendo miliardi di persone a ricorrere alla tecnologia per rimpiazzare riunioni e uscite in compagnia. Già da diverso tempo esistono numerose piattaforme per creare “stanze” virtuali in cui interagire con più persone tramite webcam e microfono. Sembra che Facebook abbia deciso di cogliere la palla al balzo e adattarsi ai tempi, rilasciando Facebook Messenger Rooms.

Di cosa si tratta?

Premettendo che Facebook e Messenger sono due app facenti parte dello stesso alveo, ma tecnicamente separate, il colosso dei social permette l’uso di questa interazione sia da Desktop che dai dispositivi mobili. Nel concreto, un utente può creare una vera e propria stanza condivisibile con tutti i propri amici di Facebook (quindi con migliaia di persone, se presenti nella lista).

Non si tratta di una semplice videochiamata, ma di una vera e propria diretta streaming a cui possono accedere tutte le persone invitate. Gli utenti aggiuntivi possono quindi assistere alla diretta o unirsi ad essa, entrando della Room. E’ anche possibile selezionare la tipologia di Room, usando diciture come “Happy Hour” o “Here all day”.

Da questo punto di vista, Messenger Rooms si discosta enormemente dalle altre app di streaming e videochiamata, che hanno dei limiti legati al source code e sono state progettate per funzionare in un modo specifico. Facebook ha sostanzialmente colpito con un guanto tutti i possibili avversari nel mercato, facendo leva sul proprio trademark e la propria popolarità.

App a confronto:  Facebook Rooms, Skype, Teams

Come accennato, Rooms è un vero e proprio ibrido nel panorama delle app per videochiamate. La prima grande differenza è la portabilità dell’App: è sufficiente avere un account Facebook ed essere amico dell’utente ospitante per partecipare o visualizzare la Stanza remota, una cosa che sembra molto lontana dai concorrenti di Facebook. Si pensi solo che Teams e Skype necessitano di un link di invito per entrare nella riunione, che in ogni caso può accogliere solo un numero limitato di utenti.

Skype utilizza le classiche “chiamate” per avviare una conversazione audio o video e si comporta, sostanzialmente, come Whatsapp e il Messenger classico. Teams, invece, è stato progettato come ambiente di lavoro; permette effettivamente di creare una stanza virtuale da utilizzare quando necessario, ma è necessaria la presenza di un moderatore ogni qualvolta sia avviato un incontro.

Messenger Rooms non utilizza parametri così stretti e al contrario permette a qualunque utente di unirsi alla diretta dei propri amici. Nel periodo di Lockdown, Rooms è stato utilizzato in particolare per le feste di laurea “virtuali”, riscuotendo un grande successo. I concorrenti di Mark Zuckerberg non hanno visto di buon occhio questa novità, sentendosi immediatamente in pericolo.

Cosa rende Facebook Rooms così popolare?

La risposta sta nel nome stesso del provider; da quando è nato, Facebook è diventato il re indiscusso della messaggistica istantanea. Dopo l’introduzione di Messenger e l’assimilazione di Whatsapp e Instagram come app satellite, ben poche applicazioni hanno saputo competere con questo colosso social.

La popolarità di Rooms è strettamente legata all’ambiente in cui si sviluppa. Molti utenti, specialmente i più giovani, associano Facebook ad un luogo di svago e tranquillità. Nel linguaggio comune viene ormai usata quotidianamente la formula “ti aggiungo/scrivo su Facebook”; nessuno direbbe mai “ti scrivo su Teams” se non per necessità lavorative.

Trattandosi inoltre di una grande innovazione per l’app di comunicazione, questo ha avuto un eco molto forte in tutte le fasce d’età. Le app concorrenti hanno comunque dichiarato di voler denunciare Facebook per avere in qualche modo “copiato” idee già esistenti e averle integrate in un progetto più grande ed ambizioso.

La verità  di questo scontro è che nel mondo digitale non esistono vere e proprie “leggi” che tutelino un codice o una applicazione nel suo insieme. Naturalmente non è possibile “rippare” un plugin e farlo passare per proprio cambiando semplicemente nome, ma allo stesso tempo non è proibito attingere dalla medesima idea e creare qualcosa di meglio.

A cura di

Francesco Antoniozzi


Fonti:

forbes.it

Credits:

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