Gesti, emoji, saluti: la tecnologia cambia la comunicazione

Con il progressivo avvento delle nuove tecnologie, si sono diffusi nuovi modi per esprimere comunicazioni non-verbali tra le persone. Se prima dell’arrivo delle chat virtuali era comune dirsi “ti faccio un colpo di telefono” mimando la cornetta vicino all’orecchio con la mano, oggi non è più così. Le nuove generazioni, nate dopo il 2000, non conoscono questa gestualità e ne hanno introdotta una nuova.

Nuova gestualità: le Emoji

Una delle più grandi innovazioni della messaggistica 2.0 sono senza ombra di dubbio gli Emoji (o Emoticons = Emote + icons). Popolari quanto numerose e diverse, queste icone sono state introdotte per rendere le conversazioni virtuali più interessanti e stimolanti da un punto di vista visivo. Ancora meglio, garantiscono un vero e proprio “tono” ad una conversazione non verbale, evitando fraintendimenti a livello interpersonale.

Il mondo è sempre più connesso e l’uso delle Emoji è diventato sostanzialmente una costante per tutti. All’uso delle classiche icone pre-installate in un’app come Whatsapp, spesso gli utenti preferiscono di quelle “classiche”, costituite da due o più segni di punteggiatura combinati. Un esempio semplice quanto efficace, sono i due punti accostati alla parentesi chiusa o una “D” maiuscola per mimare un sorriso. Ad oggi, risulta molto difficile non usare emoticons nelle conversazioni informali, tanto che parrebbe insolito se una persona non le usasse.

Saluti e appuntamenti

Anche le interazioni sociali di persona sono state profondamente influenzate dalla rivoluzione tecnologica. E’ facile sentirsi dire da genitori e nonni che una volta era più semplice mettersi d’accordo e usare il telefono fisso per comunicare a distanza. Oggi invece questa abitudine è stata totalmente sorpassata dalle app di messaggistica e dai social network. Una serata tra amici spesso si conclude con formule come “ti scrivo su Facebook”, mimando il gesto delle dita su una tastiera o con “ti mando un Whatsapp”, espressione più che eloquente.

Chiaramente queste forme di comunicazione sono adatte ad un ambiente colloquiale e non formale, ma non è troppo raro trovarle anche in email di lavoro tra colleghi e persino, purtroppo, in alcuni curricula. Sono passati poco meno di vent’anni dallo sdoganamento ufficiale della comunicazione digitale e tanto è bastato per semplificare a livelli estremi il nostro linguaggio. C’è stata una forte critica mossa verso queste nuove abitudini da studiosi di lingua e docenti, preoccupati dalla scomparsa di espressioni linguistiche più complesse.

La scomparsa dell’italiano e i “forestierismi”

In una intervista del 2017 pubblicata su La Stampa, l’allora presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini aveva lanciato un allarme, parlando dell’italiano come di una lingua in via di estinzione. Questo profondo mutamento lessicale sarebbe dovuto alla contaminazione portata avanti dall’uso costante di forestierismi, ossia parole straniere delle quali conosciamo il significato e che ormai sono di uso comune.

Pensiamo soltanto a termini come “Download”, “Computer”, “Smartphone”, “E-commerce” e simili. Sono termini di facile comprensione anche per chi non conosce la lingua inglese, in quanto usati con cadenza costante nelle nostre conversazioni. L’allarme lanciato dall’Accademia, tuttavia, non è il primo. Tra il 2016 e il 2020, molti docenti di licei e università d’Italia hanno segnalato ai giornali la totale incapacità di alcuni ragazzi di rapportarsi alla lingua italiana corretta e una maggior propensione agli errori lessicali.

E’ stato abbastanza eclatante il caso di un maturando che ha trasformato “Nino Bixio” in “Nino Biperio” durante la prova orale, facendo il giro del web e dando una chiara immagine di come la messaggistica istantanea stia modificando la nostra lingua. Il moltiplicarsi di questi casi ha messo in allerta molti professori liceali, ma sono stati segnalati casi analoghi anche nelle università, dove alcuni studenti spesso utilizzano istintivamente le emoji per comunicare coi loro docenti.

La cultura è a rischio?

Probabilmente no. Ma l’insorgere di neologismi nella messaggistica istantanea potrebbe far lentamente scomparire alcune forme lessicali oggi meno note. Sono già stati avviati piani di studio della “Lingua 2.0”, tanto che alcuni atenei tengono corsi ai ragazzi per aiutarli a distinguere tra quest’ultima e la lingua italiana vera e propria. Sarebbe opportuno che questo nuovo fenomeno diventasse materia di studio a tutti gli effetti, sebbene gli scarsi investimenti nel settore scolastico non siano d’aiuto.

I Millennials, nati a cavallo tra l’analogico e il digitale, potrebbero tuttavia aiutare in questo processo di diffusione, mettendo a disposizione la loro conoscenza del vecchio e del nuovo modo di comunicare, offrendo punti di vista unici.

A cura di

Francesco Antoniozzi


Fonti:

Corriere Innovazione

La Stampa

L’Espresso

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