Radicalizzazione online e post-verità

Radicalizzazione online e post-verità

I pregi e i difetti del web sono sotto gli occhi di tutti e, all’interno degli ultimi, inseriamo il fenomeno dellaradicalizzazione e post-verità. Spesso si notano più i pregi, altre volte si arriva a demonizzare tutto ciò che passa dalla rete. Ovviamente bisognerebbe trovare una via di mezzo tra questi due estremi, poco utili a comprendere la realtà in cui viviamo. Tuttavia, resta innegabile che ci siano criticità da approfondire. Il rischio di trascurare problemi concreti, che emergeranno solo quando saranno ormai difficili da controllare, si è in parte già avverato. 

 

Cos’è la radicalizzazione online

Il concetto di radicalizzazione violenta non è un’esclusiva del mondo digitale e, anzi, nasce nel mondo fisico. Con questa espressione si indica quel processo che porta alcuni individui ad abbracciare idee e opinioni che potrebbero portare a gesti violenti, di stampo ideologico, come atti di terrorismo.

Se l’ideologia è parte integrante di questo processo, spesso sotto forma di fondamentalismo religioso, dobbiamo considerare che molte sono le variabili che possono portare una persona ad avvicinarsi a idee o movimenti violenti. Il disagio economico, e quindi sociale, l’insoddisfazione personale, l’appartenenza a categorie emarginate, il disagio psichico, sono solo alcuni dei motivi che possono portare a essere facili vittime della radicalizzazione.

Se fino a qualche anno fa la radicalizzazione prendeva forma in luoghi fisici, negli ultimi anni i social network sono diventati il mondo per eccellenza dove questi fenomeni avvengono. Il perché è presto detto: il bacino di nuove potenziali reclute è estremamente più ampio e trasversale rispetto al reclutamento faccia a faccia. La probabilità, inoltre, che queste reti vengano rilevate dalle forze dell’ordine è più bassa, diffuse in un mondo virtuale smisurato.

 

Il meccanismo della radicalizzazione

I reclutatori fondano la loro attività sulla creazione, o alimentazione, di bolle isolate (e isolanti) all’interno dei social network, le cosiddette echo chamber. Le persone vengono attirate in questi ecosistemi chiusi, frequentati solamente da persone a loro simili, in cui tutto il materiale postato non fa che confermare le loro idee e posizioni. Non c’è nessun contraddittorio.

Allo stesso tempo, il costante flusso di rabbia che viene trasmesso tramite questi canali, porta a indirizzarsi verso comportamenti violenti. Le vittime di queste trappole perciò si trovano costantemente immerse in un ambiente violento, estremista e che esclude qualsiasi voce fuori dal coro. Uscire da questi ambienti diventa sempre più difficile, fino a quando l’ideologia prende il sopravvento, portando al fanatismo.

 

La post-verità, fondamento della radicalizzazione

Lo scenario che abbiamo appena descritto si fonda anche su un altro concetto: la post-verità (dall’inglese post-truth). Con questo termine si indicano le affermazioni fondate su credenze e opinioni, che facendo leva su una forte carica emotiva portano il pubblico a credervi, anche se in contraddizione con i dati oggettivi.

Alla base della radicalizzazione, infatti, c’è sempre la tendenza dei reclutatori a plasmare la realtà con posizioni personali, date per assolute, e affermazioni in netto contrasto con uno sguardo oggettivo. Immagini modificate, citazioni decontestualizzate, notizie inventate e facilmente riconoscibili come tali: i membri di questi gruppi non si pongono il problema di verificare l’attendibilità, contribuendo alla diffusione di fake news.

I social network, inoltre, sono sempre più usati anche per una delle conseguenze della radicalizzazione: gli attentati. Secondo uno studio dell’Europol del 2020, le piattaforme di messaggistica che garantiscono comunicazioni criptate sono sempre più utilizzate dai terroristi come mezzo per comunicare. Applicazioni come Telegram o WhatsApp consentono di progettare gli attacchi, o preparare la fase di reclutamento, senza grossi rischi.

 

L’Unione Europea contro la radicalizzazione

L’Unione Europea, negli ultimi anni, ha dedicato ingenti risorse alla prevenzione di questo fenomeno in quanto punto di partenza per il terrorismo. Oltre a vari progetti più generici, come il Radicalisation Awareness Network (un progetto che sostiene il personale più a contatto con soggetti facilmente radicalizzabili), l’Unione non ha trascurato il lato social del problema.

Con la European Union Internet Referral Unit (EU IRU), l’Europol analizza il materiale condiviso su social e blog per segnalarlo alle piattaforme che lo ospitano. Questo progetto porta a decine di migliaia di segnalazioni (e cancellazioni) ogni anno, ormai da sei anni. Per potenziare questo strumento, nel 2020 il Parlamento e il Consiglio Europeo si sono accordati per stabilire delle norme che impegnino le piattaforme a rimuovere tali contenuti entro un’ora dalla richiesta delle autorità.

 

 

A cura di
Federico Villa


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