Slut shaming: il fenomeno social

Che cos’è lo slut shaming?

Con il termine anglosassone slut shaming (umiliazione da sgualdrina o stigma della p*****a) s’intende il “voler far sentire una donna colpevole o inferiore per determinati comportamenti o desideri sessuali che si discostano dalle aspettative di genere tradizionali o che possono essere considerati contrari alla regola naturale o religiosa”. Inoltre, secondo il Cambridge Dictionary, lo slut shaming consiste altresì nell’atto concreto di parlare della condotta sessuale di una donna al fine di ridicolizzarla e sminuirla.

In questa definizione sono incluse anche le violazioni del codice di abbigliamento socialmente accettato (nel caso le donne si vestano in modo sessualmente provocante/accattivante), le richieste di accesso alle nascite e infine l’essere aggredite o violentate.

Slut shaming e social network

Lo slut shaming che oramai è all’ordine del giorno, si verifica soprattutto sui social media. Purtroppo questi sono palesemente un’arma a doppio taglio perché se da un lato ci permettono di condividere pillole di positività, dall’altro gli utenti sono liberi di esprimere parole offensive e di odio. Possedere un account Instagram o Facebook è un diritto di tutti, e il problema fondamentale riguarda, in questi casi, la mancanza di consapevolezza, di sensibilità e di rispetto nei confronti del prossimo come l’incapacità di interagire in maniera costruttiva. È importante rendersi conto che le parole hanno un peso e che questo peso va calibrato. In Italia per fortuna vige la libertà di pensiero, ma non per questo siamo legittimati a dar voce a tutto quello che ci passa per la mente. Infatti, come ci ricorda il filosofo ed economista britannico John Stuart Mill nel saggio intitolato “On Liberty”: “La libertà dell’individuo deve essere limitata solo fino a questo punto: che egli non deve rendersi una seccatura per gli altri”. Attraverso quest’affermazione Mill attribuisce all’individuo la libertà di fare ciò che vuole a patto che questo non danneggi l’altro o la società in generale.

Per parlare di cose concrete: pensiamo al momento cui una ragazza decide di postare una foto, che le piace, di se stessa sul proprio profilo, ma che dal web è ritenuta “poco dignitosa” o “poco seria” per il modo in cui è stata scattata o per i vestiti indossati: qual è l’esito?

Qui generalmente scatta il classico “attacco di massa”. Un’ondata di commenti denigratori e sprezzanti che possono davvero ferire nel profondo. Questo infatti si riaggancia al discorso precedente in cui, nella società odierna prevalgono, la maggior parte delle volte, la superficialità e la leggerezza a discapito del buon senso e dell’incoraggiamento positivo.

Slut shaming: quando si verifica?

Le donne, “ospiti” in una società patriarcale, vengono costantemente giudicate per il modo in cui si vestono, in cui si comportano e per le decisoni che prendono. Per molti l’abbigliamento succinto e sexy non va bene, perché significa che si vuole per forza attirare l’attenzione degli uomini. A quel punto non si ha più il diritto di lamentarsi se succede qualcosa di brutto…era prevedibile; oppure il fatto di informarsi sui vari tipi di metodi contraccettivi ed eventualmente utilizzarli, spesso viene letto come la volontà da parte della donna di condurre una vita sessuale promiscua. Invece di sensibilizzare sulla tematica e aumentare il livello di coscienza, ancora oggi, quando una donna parla di sessualità non si sente a proprio agio, perché è come se non le venisse attribuita la facoltà di parlarne liberamente.

Molte donne, nel momento in cui trattano quest’argomento, sono spinte dal senso di responsabilità che c’è dietro al non voler incorrere in gravidanze indesiderate o ad eventuali malattie sessualmente trasmissibili. Questo non deve essere assolutamente motivo di vergogna. Ricordiamoci che le donne, tanto quanto gli uomini hanno il diritto di avere una vita sessuale appagante e gratificante. Il loro desiderio vale allo stesso modo. Non per forza una donna deve avere un rapporto sessuale per rimanere incinta anzi; spesso lo scopo è solo ed esclusivamente il piacere personale.

Bisogna uscire dalla convinzione che all’uomo tutto è concesso mentre, la donna se lo deve guadagnare. Questi doppi standard ormai sono antichi. La chiave è la parità. Sia alle donne che agli uomini devono spettare le medesime opportunità.

Mere speranze? Probabile, ma non per questo dobbiamo smettere di combattere per ciò che è giusto.

La SlutWalk contro lo slut shaming

La SlutWalk comprende una serie di manifestazioni contro la violenza sulle donne. Questo movimento è nato il 3 aprile del 2011 a Toronto (Canada) in seguito a un’affermazione da parte di un ufficiale di polizia della città, Michael Sanguinetti, durante un incontro (di cui era relatore) nell’Università di York, dove si sono discussi temi quali la sicurezza e il problema della prevenzione della criminalità. Sanguinetti con la frase “le donne dovrebbero evitare di vestirsi come t***e per non cadere vittime di violenze” avrebbe insinuato che le donne, vestendosi in un certo modo, “invitano” l’aggressore a commettere lo stupro, e quindi la colpa, alla fine dei conti, è comunque loro.

Le organizzatrici delle proteste, Sonya Barnett e Heather Jarvis hanno deciso di utilizzare il termine Slut per riscattarlo dalle sue accezioni storicamente negative, scrivendo inoltre che le donne sono: “stanche di essere oppresse nella colpevolizzazione dei comportamenti cosiddetti ‘da t***a’ o di essere giudicate per la nostra sessualità, col risultato di sentirci perpetuamente a rischio. Essere in controllo della nostra vita sessuale non dovrebbe significare che ci stiamo rendendo disponibili alla violenza, a prescindere se si partecipi al sesso per piacere o per lavoro”.

La marcia ufficiale è partita da Queen’s Park sempre a Toronto dove si sono riunite oltre 3000 persone ed è giunta fino alla Questura. Alle donne era stato chiesto di indossare i vestiti di tutti i giorni (per simboleggiare le donne che giornalmente vengono assalite sessualmente nello svolgimento delle attività quotidiane), ma al contrario molte hanno voluto mettersi abiti provocanti appositamente per sottolineare il proprio punto di vista.

L’idea si è diffusa poi nelle città di vari paesi tra cui Canada, Regno Unito, USA, Australia, Nuova Zelanda, Africa, Asia ed Europa. Gli eventi, infine, hanno ricosso molto successo, vedendo la partecipazione di migliaia di donne e uomini e ricevendo l’attenzione dei media internazionali.

Per quanto riguarda l’ufficiale “incriminato”, invece, fortunatamente, qualche tempo dopo, ha deciso di scusarsi per le proprie dichiarazioni.

A cura di

Rebecca Brighton


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