Arte e digitale: una relazione in divenire
A inizio febbraio 2020 ho assistito allo spettacolo Segnale d’allarme. La mia battaglia di Elio Germano, in una sala del Teatro Concordia di Venaria Reale, Torino. L’aspetto più particolare di questa creazione artistica è stato la modalità di fruizione: arte e digitale.
Una volta che lo spettatore entra in sala gli viene consegnato un visore; in contemporanea l’intero pubblico assiste con questo strumento allo spettacolo. L’esperienza non conta solo sulla caratteristica immersiva del mezzo, fa leva sull’effetto straniamento prodotto dal fatto di essere in un teatro, ma assistere a uno spettacolo che si è consumato in un altro luogo, senza poter scambiare uno sguardo di assenso o una breve battuta con il vicino di poltrona. Un mese dopo questa mia esperienza eravamo tutti chiusi in casa e non potevamo entrare in contatto con l’arte se non attraverso la tecnologia. Visto con il senno di poi, lo spettacolo ha un aspetto quasi profetico.
Non solo tour virtuali
Negli ultimi anni, in particolare dal 2020 in poi, l’arte ha sfruttato la possibilità le molteplici disponibilità del digitale. I musei più lungimiranti hanno progettato tour virtuali esaustivi e interessanti. Gli spettacoli teatrali sono stati trasmessi in streaming e alcuni potevano essere visti anche a diretta terminata. Tuttavia, quando si parla di interazione tra arte e digitale sembra riduttivo ricondurre tutto esclusivamente a questa relazione. Certamente è efficace: basta pensare alle classi di ragazzi che non vanno in gita, ma hanno a disposizione sul loro computer un gigantesco archivio di prodotti artistici e di materiale di approfondimento. Questa collaborazione arte-digitale non esaurisce però quanto questo ha da offrire all’arte, e viceversa, lasciando di fatto che i due mondi viaggino paralleli senza intrecciarsi davvero.
Il teatro digitale continua
Proprio nella stagione teatrale in corso, Elio Germano, che ha ormai intrapreso con successo il lavoro di fusione tra arte e digitale, ha messo in scena un nuovo spettacolo esperibile con il visore. Ma è andato oltre all’esperimento precedente. In quel caso, lo spettatore assisteva all’ascesa di Hitler che trasformava discorsi leggeri, e a primo acchito condivisibili dal senso comune, nelle idee che hanno causato una delle più gravi guerre del secolo scorso. Tra il pubblico della registrazione vi erano degli attori che via via spalleggiavano l’ideologia nazista. Lo spettatore con il visore non poteva far nulla per fermarli, non poteva esprimere il proprio dissenso.
Nel nuovo spettacolo, Così è (o mi pare), l’esperienza è completamente diversa. Una volta indossato il dispositivo ci si ritrova a vestire i panni di un personaggio in scena, a sentire dal proprio corpo uscire una voce che non è la propria, eppure in un certo senso lo diventa. Un’immersione totale che addirittura permette di essere attore per una notte.
Una galleria d’arte digitale
Da anni, ormai, lo IED di Milano presenta le tesi dei propri allievi in un modo molto particolare. È stato creato un edificio nel Metaverso: lo spettatore con indosso un visore può infatti passeggiare in una variopinta (e virtuale) galleria d’arte in cui incontrare le tesi degli studenti. Si possono anche visualizzare informazioni ulteriori circa le opere e la loro genesi. Inoltre lo spettatore può personalizzare la propria visita in modo che sia unica e che gli organizzatori migliorino il servizio di anno in anno. Interessante che l’esperienza è possibile solo recandosi nel luogo stabilito dallo IED e con i dispositivi messi a disposizione dello spettatore dall’ente.
Sia nel caso delle tesi, sia in quello degli spettacoli teatrali, l’arte è portata nel mondo digitale, ma l’utente deve ancora recarsi in un luogo fisico. Nulla differenzia la sua disposizione da quella di chi va in una museo o in un teatro fisici. Ciò testimonia che sono ancora poco diffusi i dispositivi immersivi (anche a causa dei costi ancora elevati), o che comunque non sono comunemente usati dal singolo per fruire dell’arte.
L’arte impossibile senza digitale
Se fin qui l’esperienza artistica sarebbe comunque vivibile anche senza l’accesso al digitale, ci sono dei casi in cui non è così. Nel 2021 l’artista statunitense Jenny Holzer ha progettato per il Guggenheim di Bilbao un’opera dal titolo Like Beauty in Flames, che si serve della realtà aumentata. Per accedere, lo spettatore deve scaricare un’applicazione creata appositamente per l’evento e inquadrare con il proprio smartphone luoghi specifici. Solo allora vedrà sullo schermo l’opera di Holzer.
Un’esperienza quindi che non solo senza un dispositivo tecnologico non può esistere, ma che non sussiste senza un utente. Un’arte effimera, ma proprio per questo significativa. I truismi dell’artista sono frasi disponibili in quattro lingue che lasciano allo spettatore qualcosa su cui riflettere, che segnano il luogo in cui sono collocati anche senza esserci mai realmente. Così il digitale non è solo di supporto all’arte, ma si fonde a essa costituendo ciò che rende un’opera umana artistica.
Tutti questi sono modi in cui il digitale può integrarsi con l’opera d’arte, alcuni più poetici, altri curiosi, altri ancora stranianti, e chissà quanti esperimenti vedranno la luce nei prossimi anni. Per una relazione continuamente in divenire e capace di avvicinare realtà virtuale e non, fino a intrecciarle.
a cura di
Benedetta Saraco
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