Cosa sono e come cambiano gli hate group

L’universo di Internet è vario, così come è varia la popolazione che troviamo al suo interno. In questo melting pot di culture non troviamo solo ciò che ci eleva o che ci insegna qualcosa, ma anche tutto l’odio, il bigottismo e gli atteggiamenti negativi che sperimentiamo in prima persona nel mondo reale.

Il Southern Poverty Law Center (SPLC), un’organizzazione americana impegnata nella tutela dei diritti delle persone, ha affermato di aver identificato 838 hate group attivi che operano negli Stati Uniti nel 2020. Una netta diminuzione rispetto al 2018, ma i gruppi mancanti non si sono volatilizzati, sono solo migrati. Dove? Chi sui social media, e chi su app crittografate se completamente bandito dalle reti mediatiche “tradizionali”. Le piattaforme online consentono alle persone di interagire con gruppi d’odio e antigovernativi senza dover diventare per forza loro membri (rimangono un “pubblico”), mantenendo contatti con persone che la pensano allo stesso modo e prendendo parte ad azioni del mondo reale, come l’assedio al Campidoglio degli Stati Uniti.

Il numero di hate group anti-immigrati, anti-musulmani e anti-LGBTQ+ è rimasto sostanzialmente stabile, mentre la loro organizzazione di incontri dal vivo è stata ostacolata dalla pandemia di coronavirus. I livelli di odio e fanatismo in America non sono però diminuiti; sono invece aumentati a macchia d’olio in tutto il mondo.

Cos’è un hate group?

Un hate group è un gruppo sociale che sostiene e pratica odio, con ostilità o violenza, nei confronti di membri di una etnia, nazione, religione, genere, orientamento ecc. Lo scopo principale di un gruppo di odio è promuovere questo tipo di pensiero e diffonderlo a più persone possibili, così da creare più forza e più sostegno alla loro causa.

I fattori fondamentali perché questi gruppi fioriscano sono principalmente la capacità organizzativa, la connettività strategica tra i membri e l’organizzazione strutturale del gruppo in sé.

Tradizionalmente, gli hate group reclutavano membri e diffondevano messaggi estremisti con il passaparola o attraverso la distribuzione di volantini. Ora Internet consente invece ai membri di tutto il mondo di impegnarsi in conversazioni in tempo reale con una grande quantità di persone, ampliando in modo terrificante e irreversibile il raggio d’azione delle loro attività.

Internet è stato un vantaggio enorme non solo per la promozione dei pensieri e dei credo dei più svariati gruppi di odio sulla faccia del pianeta, ma anche per il reclutamento di un pubblico più giovane e assai più malleabile. Indottrinare i membri e il pubblico non è mai stato così facile. Incoraggiare la partecipazione, rivendicare una chiamata e accusare gruppi esterni (ad esempio il governo o i media), non pone troppe difficoltà. Migrando su Internet gli hate group hanno da un lato rafforzato il loro senso di identità e dall’altro diminuito le minacce esterne che potrebbero intaccarne la credibilità o minarne i fondamenti.

Gli hate group più presenti negli USA

Il QAnon è un movimento di cospirazione che si trova in rete, un tempo marginale, ma diventato sempre più una forza potente all’interno della politica conservatrice. Basa i suoi credo su una teoria del complotto di estrema destra smentita e priva di fondamento secondo la quale esisterebbe un’ipotetica trama segreta organizzata da un presunto Deep State che agirebbe contro Donald Trump e i suoi sostenitori, che d’altra parte avrebbero invece assunto il potere con l’obiettivo di scardinare il nuovo ordine mondiale.

I Proud Boys sono un gruppo misogino, anti-immigrati e antisemita con legami con il suprematismo bianco. È un’organizzazione di estrema destra e neofascista per soli uomini che promuove e si impegna in azioni di violenza politica negli Stati Uniti e in Canada. Nonostante i suoi legami, il gruppo rifiuta ufficialmente il razzismo, ma nonostante ciò alcuni suoi membri solo legati agli ideali della supremazia bianca.

L’Oath Keepers è un’organizzazione paramilitare che recluta personale militare attuale ed ex forze dell’ordine e primo soccorso. È un gruppo americano di estrema destra, contro il governo, che si impegna a adempiere a un giuramento: difendere la Costituzione contro tutti i nemici, stranieri e interni. Incoraggia i suoi membri a non obbedire agli ordini che ritengono una violazione della Costituzione degli Stati Uniti.

E per ultimo il “Super Happy Fun America” è un gruppo che ha legami con i nazionalisti bianchi, con sede nel Massachusetts, noto per aver organizzato una cosiddetta parata dell’orgoglio etero nel centro di Boston nel 2019.

I frutti della migrazione

L’SPLC ha condotto un sondaggio i cui risultati sono piuttosto preoccupanti: il 29% degli intervistati negli USA ha dichiarato di conoscere personalmente qualcuno che crede che i bianchi siano la “razza” superiore. Il sondaggio ha anche rilevato che il 51% degli americani ritiene che il saccheggio e il vandalismo verificatisi in tutto il paese attorno alle manifestazioni del Black Lives Matter, rappresentassero un problema più grande rispetto all’eccesso nell’uso della forza da parte della polizia presente.

L’ultimo anno della presidenza Trump è stato segnato da una resa dei conti per quanto riguarda il razzismo sistemico, ha anche alimentato le teorie del complotto razzista e l’ideologia nazionalista bianca nel mainstream politico, e quindi ampliato il raggio degli hate group collegati a questi movimenti.

Dati questi numeri che testimoniano l’aumento (seppur sottobanco) di odio e insofferenza nei confronti di chi è “diverso”, l’SPLC ha chiesto la creazione degli uffici nel Dipartimento per la sicurezza interna, il Dipartimento della giustizia e l’FBI per monitorare, indagare e perseguire i casi di terrorismo nazionale. Ha inoltre sollecitato il miglioramento della raccolta, della formazione e della prevenzione dei dati sui crimini d’odio federale.

Gli hate group sono quindi un problema da non sottovalutare. L’odio da loro promosso, l’intolleranza, avvelena la società dalle basi. Il problema andrebbe estirpato alla radice e quello che possiamo fare noi, nel nostro piccolo, è denunciarne la presenza sulle piattaforme social sulle quali navighiamo quotidianamente.

A cura di

Selene Conton


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