Digital divide: un pericolo per la democrazia

Nell’arco degli ultimi cinquant’anni la vita umana si è “trasferita” in rete. I pagamenti veicolati dai siti delle banche, la conoscenza un tempo conservata solo nelle biblioteche o le interazioni che sempre più spesso hanno luogo nei social network sono solo alcuni esempi di questo fenomeno inarrestabile. Questa tecnologia ha permesso di accedere a quantità di informazioni inimmaginabili stando comodamente davanti a uno schermo. Ma di fronte a potenzialità tanto grandi, i rischi sono altrettanto gravi.

In un mondo così fondato sul web, non poter accedere a tale servizio è un problema non da poco. Basti pensare alla quantità di notizie che vengono veicolate dai social network o dai siti di quotidiani o agenzie. In Italia, così come in molti altri Paesi, non abbiamo ancora affrontato il problema con serietà, ed è un problema.

Cos’è il digital divide

Con digital divide (in italiano “divario digitale”) si intende il distacco tra chi ha un facile accesso alla tecnologie dell’informazione e chi ne è escluso, totalmente o in parte. Tale espressione è nata negli USA con la presidenza Clinton, riferita in particolare a PC e a internet. Proprio in quegli anni ci si accorse delle criticità che venivano a galla con la diffusione dei servizi online.

Le ragioni di questa esclusione sono varie. Esemplificative sono la condizione economica, il grado di istruzione, la differenza d’età o sesso, la qualità delle infrastrutture di rete o l’appartenenza a certi gruppi etnici. Emerge quindi che il problema del divario digitale è semplicemente un effetto di condizioni di svantaggio ben più note.

Oltre a questa prima accezione, l’espressione indica anche la disparità nell’acquisizione di risorse o le competenze necessarie per partecipare alle interazioni in rete. Nei paesi più avanzati, infatti, le fasce più giovani hanno solitamente un facile accesso al web: ciò che fa da discrimine in queste fasce di popolazione diventa perciò il modo in cui si utilizza tale accesso.

Il digital divide in Italia

In Europa, secondo la Commissione europea, il digital divide di primo livello è la mancanza di una copertura di banda larga ad almeno 2 Megabit. In Italia questa carenza è limitata, ma limitante: circa il 5,6% della popolazione, nel 2018, non aveva accesso a una copertura ADSL. Il secondo livello è invece rappresentato dalla mancanza della banda ultralarga, ormai molto importante per l’accesso a servizi sempre più elaborati. In Italia la popolazione coinvolta oscilla tra il 20 e il 40 per cento, in base al sistema di calcolo.

Nel 2019 circa tre famiglie su quattro avevano un accesso internet in casa: situazione decisamente migliorata rispetto al 50% del 2010. La differenza tra nord e sud è tuttavia ancora netta: se in Trentino l’accesso a internet arriva al 81%, in Calabria la disponibilità si attesta al 67%.

Chiare differenze appaiono poi confrontando i dati urbani e rurali: allontanandosi dalle aree metropolitane. I dati calano infatti progressivamente dall’80% al 69% nei comuni con meno di 2mila abitanti.

A livello generazionale, il grande salto in avanti è stato fatto dagli over65: se nel 2010 solo il 7,3% utilizzava internet, oggi siamo arrivati a 28,8%.

Il diritto di accesso a internet

Il riconoscimento del diritto di accesso a internet venne proposto per la prima volta nel 2010 da Stefano Rodotà: si chiedeva di inserire nella Costituzione, all’articolo 21, il diritto di accesso alla Rete, come “articolo 21-bis”. L’articolo 21 regolamenta il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, e si chiedeva perciò di esplicitare insieme a tale diritto quello concernente il web.

Nel 2015 c’è un passo avanti: viene firmata la Dichiarazione dei diritti di internet (Internet Bill of Rights). Il diritto in questione è indicato come fondamentale, sottolineando la sua importanza per far valere l’eguaglianza tra le persone. Va però sottolineato che tale documento non ha un reale valore dal punto di vista legale, è più una dichiarazione d’intenti.

Il fatto stesso che stiamo parlando di digital divide ci fa capire che non basta un documento per colmare problemi di natura tecnologica, sociale ed economica. Ciò non sminuisce tuttavia l’importanza di portare avanti la richiesta di un riconoscimento di tale diritto, allo scopo di porre attenzione su questo problema.

Il digital divide attenta alla democrazia?

Alla luce di tutto ciò, dobbiamo chiederci se questa situazione danneggia la democrazia e la risposta è ormai ovvia. Già Rodotà riconobbe dieci anni fa l’importanza di questo strumento per esercitare la libertà di parola garantita dalla Costituzione e fondamento stesso di una democrazia.

Chi non ha accesso alla rete, poi, oltre a non poter esprimere a pieno il suo pensiero, si vede limitato anche per quanto riguarda la conoscenza “in uscita” dal web. Completando quindi il ragionamento, Rodotà riassume la risposta a questa domanda in una semplice frase:

“Chi non accede alla Rete – e, soprattutto, chi non lo farà in futuro – vedrà inevitabilmente compromessa la propria libertà di informarsi e di informare, anch’esse a base della democrazia”

 

A cura di

Federico Villa


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