Neuralink: un microchip nel cervello umano

Neuralink: un microchip nel cervello umano

Nel 2022 probabilmente sarà impiantato il primo microchip in un cervello umano. La startup Neuralink fondata tra gli altri da Elon Musk nel 2016 ha annunciato che si appresta all’impresa. Questa però non sembra tanto semplice, perché sono necessari due requisiti fondamentali. Prima di tutto, occorre qualcuno che accetti di sottoporsi all’esperimento. In secondo luogo, bisogna trovare un direttore del test clinico. E nessuna delle due condizioni sembra di facile soddisfazione. Ma andiamo con ordine.

 

La ricerca di Neuralink e i suoi scopi

Le previsioni sulla ricerca sono ottimistiche. Dopo un lavoro di anni il chip è stato impiantato su altre specie animali, ottenendo infine successo. In particolare, il maiale Gertrude e il macaco Pager hanno mostrato gli effetti sperati. Del secondo è stato diffuso un video che lo mostra mentre gioca a un videogioco usando esclusivamente il pensiero. Il chip neurale consente infatti di comandare elementi esterni al corpo senza ricorrere ad alcun movimento ma solo con il pensiero, che viene trasmesso a strumenti digitali (ad esempio uno smartphone) attraverso una rete wireless e bluetooth, e da lì passa all’oggetto su cui si vuole agire.

L’intento dichiarato è la ricerca medica. In questo modo, infatti, persone affette da tetraplegia o da patologie che limitano la capacità di movimento potrebbero comandare la sedia a rotelle o altri strumenti necessari nella quotidianità senza ricorrere all’aiuto altrui. Ciò consentirebbe loro di condurre la propria esistenza con un’autonomia maggiore rispetto a quella possibile con i mezzi attuali. Ma la ricerca in atto non esclude di poter un giorno appianare le lesioni del midollo spinale e addirittura di permettere nuovamente il movimento ai pazienti con questo tipo di problematiche. Il tutto grazie a un meccanismo di dimensioni ridottissime che entra in contatto con le connessioni nella corteccia cerebrale.

 

I dubbi sulla sicurezza

Tuttavia, un progetto di portata tanto ambiziosa suscita degli interrogativi. Si pone infatti il problema della sicurezza. Neuralink assicura che il prototipo garantisce l’assoluta privacy di chi si sottopone all’impianto. «Forbes» fa però notare che, come tutti i dispositivi tecnologici, il chip potrebbe essere violato e svelare il suo accesso a terzi, i quali potrebbero impossessarsi delle informazioni in esso contenute. Quando si tratta di un conto bancario violato, di informazioni sensibili che diventano note a chi si infiltra nei dispositivi digitali personali, o di un virus informatico che deruba qualcuno, stiamo ovviamente parlando di una truffa ai danni di persone. In questo caso però si tratterebbe di danni a livello del pensiero, ossia di ciò che rende umano un individuo.

Quali conseguenze avrebbe la potenzialità per terzi di entrare in contatto con il pensiero di qualcuno? Ecco che viene a mancare la separazione che caratterizza la tecnologia, cioè la distanza tra il dispositivo tecnologico e la mente umana. I due elementi sono in connessione, hanno inevitabilmente qualcosa in comune perché uno è ideato e realizzato dall’altra; tuttavia, mai finora si sono uniti per dar vita a una terza entità. Se in un discorso teorico ciò implica l’aggiornamento della domanda su cosa sia una mente pensante e la riformulazione delle risposte, nella concretezza implica che colui che ha impostato la macchina abbia potere su chi la riceve e sulla sua autonomia.

 

Le responsabilità degli attori

Chiaramente uno scenario del genere appare lontano nel tempo a fronte delle attuali capacità in campo tecnologico. Ma portare ciò che sta accadendo alle estreme (teoriche) conseguenze aiuta a comprendere la difficoltà di un’impresa del genere. Non solo perché si tratta di una ricerca ardita e avanzata, ma perché pone alcuni importanti dilemmi. Torniamo quindi alle due condizioni necessarie all’esperimento citate all’inizio. Il beneficiario dell’impianto non ha, di primo acchito, responsabilità nei confronti della collettività: deve scegliere esclusivamente della sua vita. Non avrà da perdere niente di più e non guadagnerà che un eventuale miglioramento delle sue condizioni. È responsabile solo di sé.

Diversa è la riflessione per il direttore del test clinico. Egli avrà sulle spalle la responsabilità dell’intero progetto. Non sarà ovviamente il solo a parteciparvi, ma come tutti i capitani sarà il nome e il volto della ricerca. Sarà quindi responsabile da una parte della riuscita dell’esperimento, ossia delle ripercussioni sulla vita della “cavia” umana. Dall’altra, avrà anche la responsabilità degli usi futuri del chip neurale. A fronte di ciò, non stupisce la difficoltà di reperire tale figura professionale: si ricerca infatti qualcuno che creda nel progetto e ne condivida i valori.

Attendiamo quindi che queste due condizioni vengano soddisfatte e che il test abbia inizio. Solo dopo sapremo dire se il chip è effettivamente vantaggioso. Come sempre nella Storia, gli avvenimenti (e le scoperte) possono essere valutati solo dopo il loro accadere; cerchiamo però di non aspettare troppo, in modo da evitare conseguenze spiacevoli.

 

 

A cura di

Benedetta Saraco


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