Supporti digitali per l’archiviazione dati: ecco la storia

Con la forte digitalizzazione vissuta negli ultimi anni sono stati sviluppati metodi sempre più efficaci per l’archiviazione di dati, necessari per poter archiviare e immagazinare in maniera sicura numerose cartelle elettorniche e, chiaramente, poterle recupare con facilità. La storia dei supporti digitali incomincia già nella seconda metà del secolo scorso e si evolve costantemente sino ad arrivare a metodi immateriali come il cloud storage.

Le schede perforate

Le schede performative vennero sviluppate agli albori della nascita dei sistemi informatici intorno agli anni ’40 del 1900 e consistevano in un complicato sistema di schede perforate immesse nei primissimi calcolatori elettromeccanici. Nello specifico, permettevano di salvare i dati dell’ultima sessione di lavoro in modo tale da ripartire dal punto in cui si era lasciato il lavoro precedentemente. Questi supporti digitali erano principalmente usati dalla macchina di Turing, padre dell’informatica, per conservare i dati. Questi ultimi venivano registrati mediante perforazioni su un cartoncino. La posizione dei fori sul foglio era in grado di segnalare la presenza dell’informazione.

Il nastro magnetico

Dieci anni più tardi il foglio performativo venne sostituito dal nastro magnetico composto da materiale plastico ricoperto da ossido magnetico che in una sola bobina era capace di conservare informazioni pari a 1920 schede perforate. Il primo sistema di questo tipo venne utilizzato dall’UNIVAC, il primo computer commerciale realizzato dalla Eckert-MAuchly Computer Corporation.

L’hard disk

Qualche anno più tardi, precisamente nel 1956 venne creato il primo disco rigido della storia dei supporti informatici. Era composto da dischi ricoperti da materiale magnetico che venivano fatti girare a grande velocità. La grande novità rispetto ai sistemi precedenti consisteva nella non sequenzialità delle informazioni. In questa maniera i dati potevano essere immagazzinati in qualsiasi ordine. La capacità di archiviazione si aggirava intorno ai 5 megabyte, ovvero l’equivalente di 23 nastri magnetici. La prima azienda a sviluppare gli hard disk fu la IBM che denomino inizialmente questo nuovo sistema salvataggio dati come fixed disk. Il primo prototipo era costituito da 50 dischi del diametro di 60 centimetri circa

I floppy disk

Agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso vennero lanciati sul mercato sempre dalla società IBM i floppy disk. Essi erano costituiti da un mix di materiale plastico e magnetico che, però, ne pregiudicava le prestazioni, tendendo a sporcarsi facilmente. Per risolvere questo problema, i floppy vennero ricoperti da una custodia di plastica. L’evoluzione dei floppy fu costante negli anni andando da formati iniziali con una capacità immagazinativa di 80 kilobyte fino ai più avanzati che contavano una capacità di 1,44 megabyte.

I CD-ROM

Nel 1988 l’azienda Sony congiuntamente alla Philips iniziò a commercializzare i primi CD-Rom o Compact Disk-Ready-Only Memory. La capacità di conservazione di dati poteva arrivare fino a 700 megabyte, equivalente a 486 floppy disk. Lo sviluppo del CD-ROM ha rappresentato una tappa fondamentale per sviluppo e la diffusione di massa del multimediale, grazie alle sue elevate capacità di salvataggio dati che rendevano più facile la manipolazione di dati informatici. Cosa che al floppy disk non riuscì così bene, dato che le sue capacità di memoria, inferiori ai 2 megabyte, risultavano insufficienti per lo sviluppo del multimediale.

I DVD

Anche se con caratteristiche fisiche simili ai CD-ROM, i DVD (digital versatile disc) che si diffusero intorno alla metà degli anni ’90 si differenziano dai primi principalmente per l’elevata capienza, pari a 4,7 gigabyte ovvero l’equivalente di 7 CD-ROM. La tecnica di salvataggio e lettura di dati risultava differente rispetto ai CD-ROM. Il primo DVD venne lanciato sul mercato nel 1995 grazie alla collaborazione di diverse aziende informatiche tra cui la Philips, la Sony, Matsushita, Hitachi, Warner, Toshiba, JVC, Thomson e Pioneer.

La chiavetta USB e la memoria flash

La prima chiavetta USB venne commercializzata dalla Trek Technology di Singapore nel 2000. Il modello si chiamava ThumbDrive e la sua capacità di archiviazione era di 8 megabyte. Grazie alla loro praticità e alla facilità di utilizzo le penne USB diffusero rapidamente. Questi supporti digitali si presentano dotati di una memoria flash e un’interfaccia Universal Serial Bus che le dota del meccanismo “plug-and-play”, utilizzabile su diversi dispositivi. Diversamente dai DVD la chiavetta dà la possibilità di poter cancellare e trascrivere i dati liberamente. Le più moderne hanno una capacità memorizzativa pari a quella di 140 DVD ed un peso nettamente inferiore.

Il cloud storage

La vera novità del nuovo millennio in tema di supporti digitali è rintracciabile nei sistemi di Cloud, termine inglese che rende bene la caratteristica di smaterializzazione di questo nuovo supporto. Il Cloud archivia i dati direttamente su piattaforme online senza la necessita di un supporto fisico. Questo sistema è stato reso possibile dal crescente utilizzo di internet nell’ultimo decennio: la comodità del cloud storage risiede nella possibilità di accedere ad un’infinità di dati personali in qualsiasi momento da qualsiasi dispositivo. Tutto ciò può avvenire poiché, essendo questo un sistema di archiviazione immateriale, è necessario avere in possesso solo un pc/tablet/smartphone e una buona connessione dati per poterne usufruire. La capacità di memoria in questo tipo di sistema è quasi infinita: per fare un po’ di paragoni lo spazio di un Cloud è di circa un trilione di byte, ossia circa 9 milioni di schede perforate, 500 mila hard disk, 218 milioni di dvd e 8 milioni di chiavette USB.

A cura di

Pasqualina Ciancio


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