Bulli Bai: Donne musulmane messe all’asta

Bulli Bai: Donne musulmane messe all’asta

Bulli Bai non è un termine elegante: questa frase unisce lo slang volgare per la parola “pene” con una parola che significa “cameriera”

Con un nome così, Bulli Bai non poteva certo essere un sito che vendeva fiori. E, infatti, si tratta di un sito indiano che fingeva di mettere all’asta donne musulmane, pubblicandone foto e creando un’asta virtuale. Proprio come se le donne fossero dei quadri venduti al miglior offerente.

 

Donne musulmane messe all’asta

La maggior parte delle donne erano indiane, alcune di loro erano personaggi pubblici, come il premio Nobel Malala Yousafzai o la giornalista Quratulain Rehbar. Non donne qualunque, quindi: molte giornaliste, militanti ed esponenti politiche indiane, hanno visto la propria foto finire su Bulli Bai, dove sono state ridicolizzate e molestate. Cos’hanno in comune le vittime di questa umiliazione? Il fatto di essere tutte donne e musulmane.

Il sito, creato sulla piattaforma americana GitHub (di proprietà di Microsoft), è stato chiuso. La polizia di Mumbai ha arrestato uno studente di 21 anni di Bengaluru (considerata la capitale indiana dell’IT) e una donna della quale non si sa praticamente nulla.

 

Sulli Deals

Il fenomeno delle aste online che mira ad attaccare le donne musulmane non è – purtroppo – un fenomeno nuovo. Un’altra app indiana chiamata “Sulli Deals” aveva rubato le immagini di ottanta donne musulmane, che erano state poi offerte agli utenti come “l’affare del giorno”. Le reazioni indignate, una volta che la notizia era circolata, erano stare tante, ma purtroppo non sono state seguite da alcun arresto. Anche “Sulli” come “Bulli” è un termine dispregiativo per descrivere le donne musulmane. E non è un caso che la giornalista Quarantulain Rehbar, che aveva scritto un articolo sulla vicenda “Sulli Deals”, si sia ritrovata a dover riconoscere la propria fotografia messa all’asta su “Bulli Bai”.

 

Lo stupro virtuale del caso Bulli Bai

Questi attacchi hanno suscitato reazioni e proteste in India, dove nulla di concreto, però, è stato ancora fatto. Rana Ayyub, giornalista del Washington Post che vive a Mumbai, ha dichiarato che “Si tratta di uno stupro virtuale” e ancora che “queste aste sono la dimostrazione del degrado morale dell’India e dei suoi diritti costituzionali.” Con il caso “Bulli Bai”, le donne indiane si sono mostrate sempre più sfiduciate verso le istituzioni. Queste ultime, infatti, si sono dimostrate poco impegnate a difendere i diritti delle donne musulmane nel caso “Sulli Deals”, che presto le istituzioni e la politica hanno fatto finire nel dimenticatoio.

Uno scandalo, questo del “Bulli Bai”, che rischia di cadere nel vuoto così come è successo con il caso “Sulli Deals”. E’ evidente: la posizione delle donne musulmane che si battono contro il patriarcato in India è allarmante e scarsamente tutelata.

Questo episodio è servito solo a ricordarci quanto spesso le donne musulmane vengano prese di mira, e solo per il fatto di aver espresso un’opinione. Per loro diventerà sempre più difficile trovare il coraggio di alzare la voce. Qual è il nostro ruolo? In Europa, le istituzioni dovrebbero dare importanza a casi come “Bulli Bai” e “Sulli Deals”, ancora poco conosciuti. Solo mostrandoci solidali con le donne che hanno subito queste molestie online e agendo a livello pubblico, forse, potremo dare davvero una mano alle vittime.

 

A cura di

Martina Nicelli


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