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Fake music: quando i cantanti non esistono

In un mondo in cui la disinformazione sembra regnare sovrana, parlare di fake news è diventato (per fortuna) quasi frequente quanto le fake news stesse. Manipolazione, distorsione, pura invenzione: le “notizie false” nascono spesso da una base reale, ma vengono riportate dai media prive del loro contesto, ricche di dati inesatti e fuorvianti. Altre volte ancora, si tratta solo di voci di corridoio che, trasmesse dai telegiornali, si trasformano in oro colato.

Fake music: un nuovo fenomeno

Nemmeno la musica ne è immune. Dalla notizia recente del ritiro dalle scene di Alessandra Amoroso alla morte e sostituzione di Paul McCartney, la storia abbonda non solo di leggende metropolitane, ma anche di presunzioni o convinzioni reali. Negli ultimi mesi, proprio la musica si è resa protagonista di un nuovo fenomeno, che alle fake news è talmente affine da condividerne una parte di nome. È il fenomeno della fake music.

La truffa Spotify

Spotify, il servizio streaming che conta attualmente più di 230 milioni di iscritti, è noto per permettere agli artisti, previa sottoscrizione a una serie di regole, l’inserimento in catalogo della propria musica. Ora, proprio Spotify è stato accusato da alcuni utenti web di aver promosso almeno una cinquantina di artisti fasulli, ovvero senza un profilo online verificabile. Nonostante la quasi immediata smentita della piattaforma, resta il dubbio che esista musica utilizzata solo per fare volume, visualizzazioni e di conseguenza guadagno. Il pericolo truffa si affaccia da ogni lato e il fenomeno fake music irrompe sulla nota piattaforma.

Spotify e fake music

Fake music: Matt Farley

C’è chi argina il sistema cantando canzoni di compleanno, sempre in voga, d’obbligo nelle playlist a tema “party”. Chi sceglie di chiamarsi in modo simile a personaggi famosi non iscritti a Spotify, come tali DJ Tool o gli S-TOOL. Quante volte, in effetti, abbiamo cercato il nostro artista preferito digitandone il nome scorrettamente? Dato che c’è chi dell’errore altrui ne fa tesoro, ecco che il nostro “Bob Seger” scritto male porta uno sconosciuto “Bob Segar” a un numero sostanzioso di ascolti.

A quanto pare, provare a barare non è poi così difficile né infrequente. Il Guardian racconta la storia di Matt Farley, l’americano che scrive venti canzoni al giorno. Il musicista ha composto e pubblicato digitalmente oltre quattordicimila brani. Un “brano per ciascuno, un brano per ogni cosa”.

Farley si è accorto infatti di come le persone, non ricordando il titolo di una canzone, o volendone rintracciare qualcuna, digitino spesso parole casuali sui motori web. La barra di ricerca di Spotify funziona allo stesso modo: molti vi inseriscono il proprio nome, quello della propria città, o di volti dello spettacolo. Matt Farley si è trasformato così in “The Guy Who Sings Songs About Cities & Towns”, ma anche in “The Guy Who Sings Your Name Over and Over”. Ha scritto album dedicati alle celebrità, con brani indirizzati a Justin Bieber, a Susan Boyle, e persino ai figli di Donald Trump.

Come funziona la fake music?

Di modi per ingannare, più o meno tollerati, e meno divertenti quando non ce ne si accorge, ce ne sono a decine. La band (inesistente) degli Imagine Demons, su cui fa luce il Post, ha guadagnato infatti quasi due milioni di ascolti per la canzone Demons, cover dell’omonima traccia degli Imagine Dragons.

Non solo cover. Vi sono anche compositori e produttori di musica elettronica, che hanno guadagnato soldi e ascolti grazie all’inserimento dei loro brani in playlist di sottofondo come Music for concentration o Peaceful piano. Il sito Music Business Worldwide ipotizza che gli artisti vengano creati dalla stessa Spotify per pagare meno diritti. Se infatti i musicisti appartenessero a vere etichette discografiche, a Spotify toccherebbe spendere almeno tre milioni di dollari.

Il sito propone inoltre una vera e propria lista di fake artists, con relativo numero di ascolti. Impressionante è osservare come alcuni di questi (Gabriel Parker, Charlie Key, Ana Olgica o Lo Mimieux) superino addirittura i venti milioni di streams.

Il servizio Spotify è naturalmente stato pronto a smentire tutto, ma la situazione fake music resta comunque avvilente, perché incontrollabile. Soprattutto, considerato quanto una scalata nel panorama musicale, per artisti emergenti e non, possa risultare impervia. Il consiglio resta quello, come sempre, di tenere occhi (e orecchie in questo caso) ben aperti.

A cura di

Marialuisa Miraglia


FONTI:

  • MagMusic
  • Il Post
  • La Stampa
  • Music Business Worldwide

CREDITS:

  • Copertina
  • Immagine 1
fake accountfake musicSpotify

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