Il termine hatejacking indica una pratica attuata da gruppi di estremisti: si sfruttano particolari brand per identificarsi, rendersi più tollerabili dai cittadini, finendo per far associare i loro movimenti ai marchi stessi. Utilizzando strategie simili, inoltre, questi gruppi cercano di ampliare il proprio consenso e guadagnare nuovi seguaci.
Azioni di questo tipo possono portare a danni d’immagine devastanti per le aziende che ne son vittima. Le ricadute economiche possono mettere in seria difficoltà anche i brand più affermati: i possibili clienti eviteranno infatti di comprare prodotti associabili a gruppi estremisti.
La necessità di studiare fenomeni simili, quindi, si sta facendo sempre più rilevante, tanto in ambito giornalistico quanto accademico. Tali ricerche mirano, prima di tutto, a ripercorrere i casi in cui si è assistito ad hatejacking. Una volta ripercorsi i precedenti, l’interesse si può quindi spostare sulla prevenzione (se possibile) di questo fenomeno.
Il caso Papa John’s Pizza
La catena di pizzerie Papa John’s ha sperimentato un caso di hatejacking, in parte favorito dal suo ormai ex-CEO. Nel 2017 la lega di football americano degli USA (NFL) era in fermento: i giocatori protestavano contro la discriminazione razziale, insieme al movimento Black Lives Matter (BLM).
Tra gli sponsor più importanti della NFL figurava anche Papa John’s Pizza, guidata da John Schnatter. Durante una riunione con gli investitori, il CEO della catena criticò le proteste dei giocatori, in quanto danneggiavano gli affari del suo marchio. Queste dichiarazioni portarono subito ad accese discussioni: da una parte i sostenitori del movimento BLM e Schnatter fiancheggiato dai Repubblicani, dei quali il manager era un finanziatore.
Dopo tali dichiarazioni, un sito neo-nazista indicò la catena di ristoranti come “Sieg Heil Pizza”. Allegarono persino la foto di una pizza con i peperoni posizionati in modo da formare una svastica. Il danno era fatto.
Subito i gruppi estremisti cercarono di consolidare il collegamento tra il brand e il loro movimento. Tornando da un’udienza a Charlottesville, ad esempio, dopo le aggressioni dei suprematisti ai danni dei contro-manifestanti, un gruppo di neo-nazisti doveva scegliere dove fermarsi a mangiare. Invece di fermarsi nella pizzeria dove si trovavano solitamente, decisero invece di andare in un ristorante Papa John’s. Come dichiarato da Eli Mosley, leader 26enne di un gruppo suprematista:
Avevamo in programma di prendere la pizza al ristorante locale dove la ordiniamo solitamente, ma abbiamo cambiato idea, ora Papa John’s è la pizzeria ufficiale dell’estrema destra. Stiamo semplicemente supportando i marchi che ci sostengono.
La dirigenza dell’azienda ha subito chiarito di essere totalmente estranea agli ideali suprematisti. Questo caso ha dimostrato tuttavia la potenza che le campagne di hatejacking possono avere, anche sulle catene più solide.
Altri casi di hatejacking
I casi di hatejacking documentati sono numerosi, arrivando a toccare anche marchi noti in tutto il mondo. Alcune polo Fred Perry, ad esempio, sono diventata una sorta di divisa per il gruppo neo-nazista dei Proud Boys. Questi si identificano infatti con magliette nere con bordi gialli. La compagnia ha spiegato più volte che hanno ideali totalmente opposti a quelli dei Proud Boys, ma inutilmente. Per cercare di concludere la vicenda, la società è arrivata a interrompere le vendite di questi capi d’abbigliamento.
Il produttore di scarpe New Balance ha vissuto una storia simile a quella di Papa John’s. Quando un dirigente ha sostenuto pubblicamente parte della politica trumpiana, gli estremisti han dichiarato New Balance “le scarpe ufficiali dei bianchi”. Sui social si è subito acceso lo scontro, e la società è dovuta intervenire condannando qualsiasi forma di odio.
La storia più assurda l’ha vissuta il brand Lonsdale. I cospirazionisti, infatti, hanno associato le lettere centrali del marchio (N-S-D-A) con NSDAP, acronimo che indica il partito nazista. L’azienda ha quindi deciso di interrompere le forniture verso i negozi che risultano vendere merchandise di estrema destra.
Prevenire l’hatejacking
Considerando che il rischio di tali attacchi non tenderà a diminuire, l’unica possibilità per i brand è cercare di prevenire tale minaccia. Ad ora, l’unica soluzione per limitare i danni è l’utilizzo di sistemi che analizzino i potenziali rischi, allertando l’azienda il prima possibile.
Ovviamente non si può eliminare totalmente il rischio di attacchi: questa soluzione permette però di venir avvertiti prima che il problema diventi incontrollabile, permettendo di reagire in tempo reale.
A cura di
Federico Villa
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