La privacy nell’era digitale: la vita online è rimasta la stessa?

La privacy nell’era digitale: la vita online è rimasta la stessa?

Il termine “privacy” ha assunto, nell’arco di pochi anni, un significato molto diverso rispetto al passato. Tempo addietro questa parola era logicamente associata alla volontà di mantenere privato un particolare aspetto della nostra vita. Nella società 2.0 il termine è stato esteso a ogni aspetto della realtà digitale per tutelare le persone della Rete. La privacy si è quindi evoluta da volontà individuale a necessità collettiva per garantire il benessere di ognuno.

 

Un occhio sul mondo

Con le nostre abitudini sono mutate anche le necessità delle grandi compagnie di gestire le informazioni degli utenti senza infrangere la legge. In particolare, i social network che hanno attivamente contrastato il fenomeno dei bot hanno dovuto richiedere informazioni aggiuntive a ogni persona: dal numero di telefono fino, in alcuni casi, a un documento di identità.

Da un lato molte persone hanno accolto a braccia aperte queste azioni, dall’altro c’è chi le ha messe in discussione, considerandole piuttosto uno strumento aggiuntivo per effettuare marketing mirato contro gli utenti e “vendere” i loro profili al miglior offerente. A riprova di ciò, la massiccia campagna di advertising portata avanti su Facebook e YouTube da gruppi come Amazon, Deliveroo, Glovo e similari ha lanciato un campanello di allarme.

 

Anonimato e social

Molte persone, per mantenersi almeno parzialmente anonime, hanno fatto uso degli strumenti sulla privacy forniti dai social network. In primo luogo, Facebook si è evoluto per permettere agli utenti di mascherare quasi ogni elemento, incluse immagine del profilo e informazioni come età, sesso e lavoro. Questo non è comunque fattibile per il proprio nome, che deve sempre corrispondere a quello reale. Usare un nome falso su Facebook può portare a segnalazioni o controlli mirati.

Lo stesso problema non si presenta su piattaforme come Twitter, Reddit e Instagram. Sebbene siano necessari un nome vero e una e-mail per la registrazione, l’utilizzo di un nickname come principale identificativo è permesso e incoraggiato. In pratica, sta alle persone decidere cosa condividere e quando farlo. I rischi sono sempre presenti, ma in forma decisamente ridotta.

 

I rischi legati alla privacy

“Da un grande potere derivano grandi responsabilità“.

Bisogna sapere che da una grande mole di dati personali derivano rischi sempre maggiori. Le compagnie garantiscono la tutela per ogni singolo byte di informazioni, ma allo stesso tempo tendono a scaricare sugli utenti eventuali problemi legati al furto di identità. Un esempio pratico è Amazon: la compagnia rimborsa tutte le spese effettuate entro il proprio alveo (i.e. magazzini e acquisti propri), ma non può farsi carico di incidenti legati ad acquisti da terzi. In poche parole, se si incorre in una truffa e i nostri dati personali (o persino bancari!) vengono rubati, siamo da soli.

Ognuno di noi è ovviamente responsabile di quello che viene pubblicamente condiviso online. I grandi siti effettuano un vero e proprio stoccaggio dei dati di ciascuna persona, ma per le leggi europee non sono autorizzati a tenerli per più di dieci anni. Che questa norma sia effettivamente praticata non è dato sapere, considerando che gruppi come Meta e Google mantengono una grande segretezza sull’utilizzo di queste informazioni (e sono stati anche multati).

Il modo migliore per evitare problemi in futuro è limitare la quantità di informazioni che divulghiamo con il mondo digitale. In questo modo tuteliamo noi stessi e impediamo a terzi di utilizzarle per praticare pubblicità aggressiva nei nostri confronti o persino di rubare dati personali.

 

 

A cura di

Francesco Antoniozzi


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