Loretta Goggi e l’addio ai social: le conseguenze dell’odio digitale

Loretta Goggi e l’addio ai social: le conseguenze dell’odio digitale

 

La notizia sull’ultimo caso di odio digitale è presente in molti giornali online: a seguito della sua esibizione ai Seat Music Awards, Loretta Goggi, nota cantante e soubrette italiana, ha deciso di abbandonare definitivamente i social. A causa degli insulti ricevuti sul Web dopo la performance, la cantante si è sentita minacciata da troppi commenti d’odio e ha preso una decisione definitiva.

La Goggi ha dato la notizia in prima persona: nell’ultimo post sulla sua pagina Facebook spiega come, nonostante il sostegno di molti fan, si trovi costretta ad abbandonare i social in quanto ormai canali d’odio, intolleranza e maleducazione.

Miei cari tutti, ma proprio tutti tutti, anche coloro che mi seguono su altri siti, vorrei riuscire a ringraziarvi uno ad uno per avermi amato e seguito per 61 anni, sapete bene che non sarei ancora qui senza il vostro sostegno e la vostra stima.
Ma oggi, oltre alla gratitudine, vorrei parlarvi del rammarico che provo nel leggere commenti, anche sul mio sito ufficiale, di una cattiveria, un’arroganza , una gratuità indescrivibili, tali da costringere il mio staff a cancellarne alcuni e la cosa non mi piace, però l’educazione ha un limite e il mio sito non deve dare spazio a certi signori .
Censurare nemmeno è bello. L’unica cosa è prenderne le distanze.
L’ondata di commenti negativi sotto i post della cantante ha portato alla luce un’altra questione di rilievo: la censura nel web. La questione è complessa: se da un lato non è corretto che le persone si sentano legittimate dai social a esprimere la propria opinione ricorrendo a insulti, è giusto dall’altra parte difendersi oscurando questi commenti?
In poche parole, nascondere gli insulti e le calunnie ricevuti sui social è considerabile come una forma di censura? La Goggi ha preferito prendere le distanze da tutto ciò e allontanarsi da questi canali, rinunciando di fatto al dilemma.

Odio digitale: rispondere o censurare?

La vicenda della Goggi è, purtroppo, una prassi che accade continuamente, a persone più o meno famose che spesso faticano a trovare una via d’uscita dall’odio digitale di cui si ritrovano vittime. Queste vicende vengono, poi, spesso esaltate ricevendo grande risonanza. Un esempio su tutti, i meme che proliferano ogni qual volta il politico o giornalista di turno blasta un personaggio pubblico; quest’ultimo viene colpito da tutta una serie di commenti da parte di utenti che, in virtù delle parole del politico/giornalista, si sentono legittimati a esprimere qual si voglia opinione, e queste opinioni sono spesso meri insulti e manifestazioni di odio.
Assistiamo dunque a delle vere e proprie shitstorm che invadono il profilo del malcapitato di turno che, tendenzialmente, replica con altre offese, si allontana o tenta di arginare il problema cancellando i commenti negativi. In assenza di un’etichetta comportamentale universalmente riconosciuta, spesso ci si sente legittimati a scrivere ciò che si vuole senza preoccuparci di ledere la sensibilità altrui. Sia da parte dei carnefici che da parte delle vittime. Si tratta di un circolo vizioso nel quale l’odio legittima l’odio.

Esiste una via d’uscita dall’odio?

Esiste un modo corretto per rispondere a questi attacchi? Di certo, si sente il bisogno di una maggiore regolamentazione: dovrebbe esistere una figura in grado di gestire le controversie, una sorta di moderatore che riporti la discussione su una linea più civile. Un community manager che si dedichi principalmente alla risoluzione delle controversie, che segnali le linee guida da adottare e sia in grado di intervenire anche qualora le azioni abbiano ripercussioni sulla vita non digitale.
Non tutti sono in grado di gestire l’odio digitale e, prima di digitare un qualsiasi commento sul Web, dovremmo sempre chiederci: chi c’è dall’altra parte?

Reati digitali?

In un mondo iperconnesso come il nostro, il confine fra vita reale e vita digitale si è reso estremamente labile. Non possiamo sorprenderci, infatti, se quello che accade sui canali digitali ha delle ripercussioni nella vita reale. Innumerevoli sono i casi di odio e violenza digitale che sono poi sfociati in gesti decisamente più estremi.

A questo punto è possibile parlare di reati digitali? In un’intervista al Sole24Ore, l’avvocata Anna Italiano, specializzata in diritto dell’informatica e delle telecomunicazioni, ha affermato che esistono dei nuovi rischi di cui gli utenti non sono perfettamente consapevoli. Gli strumenti di tutela esistono e il GDPR ne è una prova lampante. Tuttavia, quello che manca è una educazione e una consapevolezza di quali siano i rischi e le conseguenze di una certa condotta digitale e dell’uso della tecnologia. Inoltre, spesso è difficile circoscrivere la fattispecie di reato: le più comuni sono di certo lo stalking, il cyberbullismo, l’estorsione e il revenge porn. Non è sempre facile, però, quantificare la violenza: ognuno è dotato di una propria sensibilità e differenti livelli di tolleranza.

Quindi qual è il limite? Come si può circoscrivere? Ancora una volta si rende necessaria un’educazione digitale che possa rendere tutti gli utenti consapevoli delle proprie azioni, li istruisca all’uso della tecnologia e su quali possano essere le conseguenze di un comportamento scorretto.

La censura non è e non è mai stata una soluzione reale al problema: il primo passo da compiere è senza dubbio quello di denunciare il fatto e fare sentire la propria voce attraverso gli appositi strumenti di tutela legale.

 

 

A cura di

Giorgia Simonetti


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