La sindrome di Hikikomori

La rete e gli strumenti tecnologici di oggi si possono trasformare in rifugi confortevoli da cui esplorare il mondo, ma dei quali si può diventare anche vittime. Oggi, attraverso la rete, la curiosità di apprendere da più fonti è stata sostituita dalla facilità di avere tutto e subito tramite Internet. La sicurezza nell’uso di Internet e nella gestione delle informazioni viene percepita come il poter raggiungere spazi mentali che difficilmente sono raggiungibili nella realtà concreta. Si tratta a volte di una dipendenza cognitiva e psicologica, che nei casi più gravi porta i ragazzi a chiudersi nella loro stanza avendo come unica finestra sul mondo il loro PC.

Cos’è la sindrome di Hikikomori?

La sindrome di Hikikomori, indicata come minaccia per la nuova generazione di nativi digitali, ha una radice lessicale giapponese ed è composta dalle parole hiku, “tirare” e komoru, “ritirarsi”. Il termine sta a indicare appunto lo stare in disparte, l’isolarsi, e si riferisce a chi ha scelto di ritirarsi dalla vita sociale in una situazione estrema di auto-isolamento.

La parola, coniata dallo psichiatra giapponese Tamaki Saitō, identifica i casi crescenti di adolescenti e persone che, come “eremiti postmoderni”, prediligono il rimanere da soli per mesi o anni, pur utilizzando con estrema abilità le nuove tecnologie. I sintomi derivanti da questo stato di estremo isolamento possono portare a lungo termine a letargia, incomunicabilità, depressione e disadattamento sociale.

Comportamenti estremi della sindrome di Hikikomori

I comportamenti di un soggetto affetto da questa sindrome si evidenziano con un ritiro volontario dalla scuola, dalla famiglia e dal mondo. Ragazzi e adolescenti che non escono più dalla loro stanza, dormono di giorno e chattano di notte, connettendosi al mondo virtuale e abbandonando i rapporti con la famiglia e gli amici. I sintomi progressivi di questa sindrome portano i ragazzi a essere intrattabili, ostili o depressi se forzati ad allontanarsi da internet. Tuttavia la sindrome di Hikikomori non è associabile solo alla dipendenza da Internet, alla ludopatia o alla depressione; è uno stato patologico complessivo di “ritiro sociale”.

La sindrome tra le nuove generazioni

Questo fenomeno è molto diffuso in Giappone. Si stima che ne siano affetti circa un milione di persone, soprattutto giovani tra i 15 e 25 anni, che secondo le statistiche sono in prevalenza maschi. Alla base di questo comportamento c’è di solito una fragilità caratteriale nel confrontarsi con le situazioni sociali, rafforzata da alcune caratteristiche personali quali:

  • L’aver subito molestie;
  • La sensibilità e l’introversione caratteriale;
  • L’assenza genitoriale, in particolare del padre;
  • Il disagio e l’impotenza di essere vittime di bullismo;
  • Il timore e la vergogna di affrontare situazioni di confronto con gli altri;
  • L’incapacità di gestire le pressioni di realizzazione sociale.

Diffusasi ormai in tutto il mondo occidentale, anche in Italia questa sindrome è attualmente oggetto di studi. Le statistiche stimano che più di 100.000 ragazzi ne siano affetti. Ne sono un esempio tipico le storie raccontate nel libro di Maria Rita Parsi, Generazione H, che raccoglie storie di ragazzi che soffrono di Hikikomori. Sono Interessanti e per certi versi inquietanti quella di Nicola, l’eremita hacker e di Laura, la sexting Hikikomori.

Prevenire il fenomeno dell’Hikikomori

L’intervento più importante in questi casi è sicuramente la prevenzione. Poiché la sindrome di Hikikomori tende a diventare cronica, è importante cercare di coglierla nelle sue fasi iniziali, quando compaiono i primi sintomi. Interpretare comportamenti come il persistente isolamento, il disinteresse per la scuola o le attività extrascolastiche o l’assenza di relazioni con i coetanei diventa il primo segnale d’allarme per le figure adulte che circondano il ragazzo.

Minimizzare o aspettare che il fenomeno si risolva da sé, etichettandolo come elemento inevitabile della pervasività delle tecnologie digitali, è un grave errore. L’attenzione va posta nel non farsi bypassare nel ruolo educativo da un mondo virtuale ormai così massicciamente presente tra i giovani. Prevenire significa, tuttavia, monitorare attentamente senza proibizioni o rifiuti che avrebbero il solo scopo di aumentare il desiderio dei ragazzi proiettati in questo mondo.

L’educazione civica digitale

Anche la conoscenza di un’opportuna strategia di azione sull’utilizzo del web da parte di genitori e educatori diventa fondamentale, superando il “gap generazionale” ed evitando di favorire la solitudine tecnologica dei bambini e dei ragazzi di fronte al web. Educazione civica digitale significa formare gli adulti prima ancora dei ragazzi, che dovranno essere accompagnati, seguiti, controllati e consigliati durante la loro prima fase (e anche successivamente) di navigazione sul Web.

Come per tanti altri endemici fenomeni negativi che colpiscono la fragilità e l’ingenuità dei ragazzi, come le droghe, il bullismo, o le malattie sessuali, la prima cosa è capire, non giudicare e confrontarsi oltre il muro della vergogna e dei pregiudizi.

Esistono associazioni specifiche, come l’Hikikomori Italia, che hanno lo scopo primario di informare, sensibilizzare e fare riflettere sul fenomeno. Confrontarsi attraverso spazi on line di forum e chat con gruppi di aiuto diventa il passo preliminare per ogni cura e terapia.

Le forme variabili di una educazione civica digitale

Educazione civica digitale inoltre significa mostrare e far conoscere i fenomeni nel complesso degli aspetti negativi che li caratterizzano, anche con l’esempio di chi racconta il proprio disagio nelle forme che sono più affini alla loro sensibilità. Un esempio di tale espressione è quello del giovane ventunenne rapper e cantautore milanese Federico Artemi, in arte Artemix, e del suo brano musicale Hikikomori. Artemix, barricato in casa dall’età di 16 anni, racconta con la musica, diventata per lui anche uno strumento terapeutico, la realtà sconcertante di un hikikomori.

Hikikomori: educare, riconoscere, contrastare

Il silenzio mediatico che circonda questa pericolosa sindrome rischia, come successo in Giappone anni fa, il diffondersi esponenziale di questo fenomeno che spesso viene ancora definito come malattia, psicosi o falsa depressione. Si tratta invece di un disagio esistenziale classificato come sindrome culturale che agisce in un contesto sociale. Le cura, che a volte viene erroneamente forzata tramite l’uso di terapie farmacologiche, è tesa a contenere i sintomi esteriori e non a comprenderne le cause primarie. Evitare questo errore, sulla base dell’esperienza giapponese, aiuterà a capire che l’Hikikomori va affrontato nel suo contesto sociale-familiare e nel modello di società che lo determina.

Il primo campanello d’allarme rimane la definizione di Hikikomori primario. Questo indica un isolamento della persona che non può essere spiegato da nessuna psicopatologia o confuso con la sola dipendenza dalle tecnologie digitali. Riconoscerlo e contrastarlo significa, quindi, affrontare una corretta conoscenza di come si sviluppa questo fenomeno.

Un impegno sociale di conoscenza e comunicazione

Sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni con iniziative mirate e affidarsi all’esperienza di chi ha già sperimentato queste situazioni; questi diventano gli obiettivi fondamentali che possono aiutare i ragazzi e le famiglie nel riconoscere gli elementi comuni di questo problema.
Ridare ai giovani la possibilità di una riapertura alla società e prevenirne un irreversibile isolamento è un dovere che tutti dobbiamo assumere nei confronti delle nuove generazioni digitali.

A cura di

Costante Mariani


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