Shitstorm: l’incubo dei social network

Cos’è una shitstorm

A molti di noi probabilmente è capitato di assistere a una diatriba social tra un utente e un altro, o tra un gestore di un gruppo o una pagina e un’altra persona. Da un semplice litigio online può scatenarsi quella che nell’Oxford Dictionary è definita una shitstorm (lett. “tempesta di merda”).  Con questo termine si intende una vera e propria bufera social che prende potenza a mano a mano che altri utenti si uniscono alla corrente. Sebbene a volte le Shitstorm siano volutamente organizzate per trollare altri utenti, molto spesso questi flash mob digitali lasciano spazio a tristi episodi di bullismo, body shaming e razzismo che distruggono letteralmente la reputazione di una persona, talvolta portandola a compiere gesti estremi.

Il caso “Superuovo”

Partendo dall’episodio più recente, abbiamo deciso di riportare l’evento che ha portato una vera e propria orda di trolls sulla pagina umoristica de “Il Superuovo”. Pare infatti che gli admin siano stati accusati di aver plagiato diversi paragrafi di un libro, riportandoli in un loro articolo senza fornire i credits agli autori originali. Diversi utenti hanno inoltre segnalato come la pagina sia solita postare meme ispirati o copiati da altre realtà, sempre privi di accreditamenti.

In poche ore, la sezione commenti del Superuovo è stata letteralmente investita da una enorme quantità di insulti e meme contro il direttore e i suoi articolisti, tanto da spingere i moderatori a lavorare costantemente per rimuovere tutti i commenti offensivi. Ci sono stati anche episodi di spam nei confronti dei singoli utenti non interessati all’episodio, con richieste di de-followare la pagina e messaggi privati non particolarmente gentili.

La situazione non è ancora tornata alla normalità, ma sembra che il tempo stia facendo perdere interesse ai troll, sebbene ormai la reputazione di questa realtà sia totalmente compromessa.

Discriminazioni e Body Shaming

Come abbiamo accennato, le shitstorm possono svilupparsi anche intorno a un personaggio pubblico per uno o più motivi, da un cambio di stile fino ad un gossip non confermato. Col passare degli anni, il numero di tempeste scatenate contro artisti e attori è aumentato vertiginosamente, causando anche gravi episodi come il suicidio.

Ha fatto notizia la morte di Agust Ames, pornostar statunitense, rimasta vittima di una pesante shitstorm su Twitter per essersi rifiutata di girare un film con un attore porno omosessuale. La ragazza si è tolta la vita nel 2017, dopo aver semplicemente twittato “F*ck you all”. Soffriva di una forma pesante di depressione.

La giovane e promettente artista britannica Billie Eilish è stata a sua volta vittima di una shitstorm tra aprile e maggio 2020. Billie non è nuova ad episodi di discriminazione nei suoi confronti, perlopiù dovuti al suo stile in continuo mutamento, il suo carattere introverso e la sua età. Anche lei ha confermato in diverse interviste di soffrire di attacchi di panico e depressione e di aver valutato più volte il suicidio. Fortunatamente, le persone intorno a lei sono riuscite a darle forza per continuare.

Politica e propaganda

Veniamo infine ad analizzare uno degli elementi più gravi del fenomeno della shitstorm: il suo uso indiscriminato in politica per colpire gli avversari. Sebbene questo fenomeno non sia nuovissimo sui social (ci sono stati episodi analoghi anche nel passaggio da Clinton a Obama), solo negli ultimi anni diversi personaggi pubblici in corsa alle presidenziali hanno organizzato enormi shitstorms contro possibili concorrenti.

Non dovrebbe sorprenderci sapere che l’attuale presidente USA, Donald Trump, è tra i più grandi shitstormers nella storia della Casa Bianca. Fin dal giorno della sua elezione, il suo uso costante e indiscriminato della piattaforma Twitter ha spinto enormi folle virtuali a riversarsi contro i suoi avversari. Il caso probabilmente più grave è stato quello di Alexandria Ocasio-Cortez, attivista politica americana finita nell’occhio del ciclone digitale dopo aver espresso rammarico per la decisione di Trump di uscire dagli accordi sul clima.

Cortez è sempre stata molto attiva verso i problemi legati ai gas serra, e questo le ha causato diverse incomprensioni con il Presidente in carica, che ha scatenato i suoi followers contro lei e altri membri del Congresso, consigliando loro di “tornare nei paesi di origine”. Inutile dire che questo increscioso episodio ha dato più forza ad Alexandria, portandola a collaborare attivamente con Sanders e Biden per le presidenziali 2020.

Anche in Italia si sono visti episodi simili. L’evento più noto è stato quello che ha colpito Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro, nel 2016, a seguito di una sua dichiarazione secondo cui, tra i giovani trasferitisi all’estero per lavoro “ce ne sono alcuni che è meglio non avere tra i piedi”. Una frase che ha scatenato l’ira di migliaia di giovani in tutta Italia, giustamente offesi da un concetto primitivo e discriminatorio.

Come sopravvivere a una shitstorm

Sebbene sia difficile venire incontro a qualcosa di tanto grande e spaventoso, esistono diversi modi per uscire quantomeno illesi dalla tempesta.

  • Rimanere lucidi: farsi prendere dal panico non aiuta. Bisogna innanzitutto capire come è nata la protesta, chi è l’artefice e se si tratta di un troll o di una vera e propria mobilitazione.
  • Operare verso l’intera community: prendere i singoli utenti e spiegare loro la situazione è controproducente nonché inutile. Bisogna considerare tutti i commentatori come un singolo organismo e parlare all’intero gruppo.
  • Niente censura: chiudere una chat, una sezione commenti o un gruppo non aiuta nessuno. La tempesta si sposta su altri canali comunicativi e ricomincia, probabilmente più forte di prima.
  • Spiegare, parlare, coinvolgere: tre elementi fondamentali per calmare le acque. Un ottimo modo per affrontare gli utenti più aggressivi è mantenersi tranquilli ed evitare di rispondere ai commenti volutamente provocatori. Se si riesce ad avviare una discussione civile con un gruppo di utenti, è possibile annullare l’effetto shitstorm.

 

A cura di

Francesco Antoniozzi


FONTI:

CREDITS: