Black Mirror, la serie tv contro l’odio digitale

L’odio è un sentimento che riguarda e che affligge ogni parte del mondo. Negli ultimi anni, in particolare, si è amplificato a causa dei social network, che hanno facilitato la piena manifestazione del pensiero, spianando la strada per chi intende diffondere messaggi di disprezzo. Il mondo di internet è molto vasto, al punto che questi commenti carichi d’odio possono anche passare inosservati, nascosti in mezzo ad altri. Spesso, poi, non vengono segnalati poiché ritenuti parte della “normalità” dei social, dove le persone, avendo opinioni e modi di vivere differenti, sono legittimate a non condividere ciò che viene pubblicato.
Dopo tutto vige la democrazia, giusto? Questo però non significa che il web sia privo di limiti.

A questo punto, è lecito quindi chiedersi:

  • Quando una frase o una parola diventano offensive?
  • Quando si oltrepassa la linea sottile tra diritto di parola e insulto?

In questo caso non è giusto lasciar correre. È necessario intervenire per far capire che un individuo, pur essendo libero di esprimersi, non ha il diritto di ledere la sensibilità altrui.

Cosa si intende per “odio digitale”?

Definizione di odio

L’odio, secondo molti filosofi, è parte integrante della natura antropologica dell’uomo. Si tratta di un sentimento insito, radicato e antico. È una delle caratteristiche che definiscono l’umano e che gli permettono di sopravvivere. È altresì un sentimento mutevole, come lo sono i pensieri delle persone a cui è correlato. L’odio può assumere diverse sfaccettature: può avere una forza disgregativa e distruttiva in alcuni casi, ma in altri può diventare un elemento di unione, proprio come il suo antagonista, l’amore.

A tal proposito, Konrad Lorenz, celebre etologo austriaco, riteneva che il cosiddetto male, nonché l’aggressività, oltre a essere un istinto primordiale che esige di essere scaricato, è il motore dell’evoluzione, sia nel mondo umano che in quello animale. Ha affermato inoltre che l’uomo, contrariamente al pensiero comune, è un animale sociale che tende di natura a detestare i suoi simili.

Inoltre, il risentimento è ciò che viene definito come “sentimento plurale” perché è in grado di saldare più persone contemporaneamente contro uno stesso target, che sia una singola persona oppure un’intera categoria. A livello sociale, infatti, spesso si trasforma in uno strumento di coesione e di propaganda; è risaputo che l’odio verso un nemico comune è uno dei collanti più forti in assoluto, proprio come sostiene Lev Tolstoj, secondo cui la “lotta per l’esistenza e l’odio sono le uniche cose che leghino gli uomini”.

L’odio moderno

L’odio, secondo le analisi precedenti, non è una malefica invenzione della società iper-digitalizzata di oggi, né tantomeno dell’economia capitalista. Non è stato l’avvento dei mass media a renderci rancorosi e taglienti. La rete non ha creato l’odio, ma funge da potente catalizzatore di un fenomeno originario. La tecnologia è solo un megafono che amplifica ciò che, già da sempre, esiste.

La violenza verbale è all’ordine del giorno, e si diffonde a macchia d’olio, soprattutto grazie ai social network. L’odio mediatico è travolgente, i commenti rimbalzano da una piattaforma all’altra finché da una piccola ondata d’astio si giunge allo tsunami che si propaga in maniera incontrollata e difficilmente placabile, provocando danni visibili, talvolta irreparabili.

Il web è un territorio pericoloso dove la rabbia sociale e lo sdegno morale si incontrano e si fondono con la frustrazione che alberga negli utenti. Erich Fromm, sociologo tedesco infatti, scrive:

Non c’è fenomeno che contenga così tanto sentimento distruttivo quanto l’indignazione morale, che permette all’invidia o all’odio di manifestarsi sotto le spoglie della virtù.

Questa teoria trova piena conferma nelle piattaforme digitali. In una società virtuale come quella odierna, dove tutto rimane nella vivida memoria di internet, l’odio si fa sempre più sentire e risuona continuamente, proprio come un eco. Purtroppo il detto “ciò che si fa a…… resta a……..”, non ha alcuna valenza per il web, perché esso conosce ogni dettaglio, non fa sconti, ma soprattutto non dimentica.

Gli haters

Il popolo del web, composto anche dai cosiddetti haters, generalmente sceglie un bersaglio facilmente attaccabile. Per esempio, nel caso dei VIPs, si aggrappa a una parola o a una frase detta, che risulta di troppo o magari scorretta, dettata dalla disinformazione o da un giudizio affrettato nei confronti di un determinato fatto di cronaca piuttosto che di gossip; oppure quando un personaggio pubblico rende nota la propria antipatia verso un altro, favorito di alcuni, o ancora quando quest’ultimo si trova in disaccordo con determinate affermazioni espresse, gli haters di certo non tacciono.

In altri casi, invece, si potrebbe trattare di una foto postata anche da una semplice ragazza comune che viene giudicata negativamente perché indossa un bikini e risulta particolarmente esposta, oppure perché è ricorsa alla chirurgia estetica per modificare il proprio corpo.

Tipi di odio digitale

Nello specifico, esistono varie forme di odio, che sfociano spesso in bullismo. Il bullismo in rete o cyberbullismo, infatti, comprende anche quell’insieme di atti e commenti dispregiativi che riguardano il corpo e la fisicità (body shaming), l’etnia, il genere, la condizione psico-fisica come, per esempio, la disabilità e infine, i vari tipi di discriminazione tra cui l’omofobia, l’islamofobia e l’antisemitismo.

L’odio quindi, è sopravvissuto nel corso del tempo e si è evoluto, passando da una versione “arcaica” in cui l’imputato veniva esposto agli insulti del popolo in un luogo pubblico, a una versione più “aggiornata”, in cui l’arma è la tastiera.

Serie tv contro l’odio: Black Mirror

Anche le serie tv hanno dedicato qualche episodio all’opposizione verso l’odio mediatico. In particolare la serie britannica Black Mirror nella puntata intitolata Odio Universale (stagione 3, episodio 6).

Tutto inizia con la storia di Jo Powers, un’editorialista colpevole di aver scritto un articolo spietato contro una disabile. Dopo la pubblicazione, il popolo del web si rivolta, scagliandole addosso tutto il suo disdegno. Ritrovandosi al centro di una gogna mediatica, le minacce e gli insulti sono talmente incessanti da portarla al suicidio, o almeno così pare. Secondo la squadra degli investigatori responsabili del caso però, le circostanze della morte rimangono sospette e lo scenario non è così scontato come sembra. Per questo decidono di fare chiarezza.

Il popolo digitale però non si ferma nemmeno davanti a un cadavere, pronto a eleggere il prossimo colpevole a cui augurare la morte. Il problema nasce quando questo macabro desiderio si avvera, traducendosi in una serie di morti apparentemente inspiegabili, ma collegate da un filo conduttore: uomini e donne che muoiono nel mezzo di una bufera social a colpi di hashtag. Nel corso delle loro indagini, i detective incaricati scopriranno che queste vittime non sono affatto casuali, ma che rientrano all’interno di un complesso meccanismo secondo cui il web può decidere chi punire. Per realizzare questo gioco spietato, chiamato gioco delle conseguenze, gli utenti seguono le istruzioni di un manuale disponibile in rete.

Il gioco prevede che un gruppo di utenti selezioni un bersaglio e scriva ripetutamente il suo nome accompagnato da una foto e dall’hashtag #Deathto (#Mortea). La persona prescelta, poi, verrà uccisa ogni giorno alle ore 17.00.

Conclusioni

Questa puntata così cruda e brutale è pensata per far riflettere e per mettere le persone davanti alla realtà contemporanea. Le conseguenze degli insulti, per fortuna, non si trasformano automaticamente in una campagna di omicidi seriali, ma non per questo la società è immune alle ripercussioni negative. Al tal riguardo, i fatti di cronaca parlano chiaro: i casi in cui le persone, soprattutto i ragazzi nella fascia d’età pre-adolescenziale/adolescenziale, si sono tolti la vita oppure l’hanno persa per mano di alcuni coetanei fomentati dall’astio, sono notevoli.

In un mondo dove ogni sospetto diventa una prova e dove ogni accusa diventa una condanna, è difficile difendersi, specialmente se ci si ritrova tutti contro uno. È necessario comprendere che esprimere la propria opinione con leggerezza è pericoloso, sia per chi riceve il commento, sia per chi ne è l’artefice, poiché potrebbe doverne rispondere in sede penale. Bisogna uscire dalla convinzione che quello che è scritto sul web è rilegato soltanto a quello spazio, in quanto è inevitabile che il tutto si ripercuota poi sulla vita reale. Anche se, di fatto, ci si confronta solo virtualmente, è bene sempre tenere a mente che il profilo colpito appartiene a una persona vera, in carne e ossa, e che non si può mai prevedere che tipo di reazione si susciterà nell’altro.

 

A cura di

Rebecca Brighton


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