Hate group: chi sono i gruppi più colpiti dall’hate speech

Nel panorama digitale ci sono moltissimi attori differenti, che interagiscono tra di loro, discutono ed esprimono le proprie opinioni. Tuttavia, sappiamo che spesso queste dinamiche sono intrise di discorsi che vanno al di fuori del dibattito civile, guidati da sentimenti di intolleranza, xenofobi e divisori nei confronti di alcuni gruppi, detti hate group. La rete rappresenta l’agorà del nostro tempo, a cui tutti abbiamo accesso e in cui chiunque può esprimere le proprie opinioni.

Dall’altro canto, spesso sotto la veste del diritto di espressione, si nascondono discorsi che inneggiano alla violenza verso alcune categorie, solitamente vulnerabili, che vivono poi queste discriminazioni anche offline.

La mappa dell’intolleranza

Grazie al progetto ideato da Vox – Osservatorio Italiano sui diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, La Sapienza di Roma e il Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano, è da quattro anni che viene pubblicata una mappa dell’intolleranza.

Nello specifico, questa mappatura è il risultato di una rilevazione e consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole sensibili. Inoltre, mira a identificare le zone più intolleranti, secondo l’analisi degli attacchi a sei gruppi: donne, migranti, omosessuali, diversamente abili, ebrei e musulmani. Questa mappa è risultata utile per due motivi: da una parte ha permesso la mappatura dell’hate speech; dall’altra ha permesso di individuare e combattere molti fenomeni di cyberbullismo.

I risultati dell’analisi del 2019

L’ultima indagine è quella riportata nella mappa dell’intolleranza 4.0. Questa fa riferimento al periodo tra marzo e maggio 2019, ha messo in evidenza alcune caratteristiche peculiari.

In primo luogo, l’andamento dell’odio online sta colpendo soprattutto alcune categorie, ovvero migranti, musulmani ed ebrei. Infatti, l’odio contro i primi registra un aumento del 15.1% rispetto all’anno scorso, tanto che un hater su tre si scaglia contro gli stranieri. L’intolleranza contro gli ebrei invece, che nel 2018 era nulla, quest’anno ha visto un aumento del 6.4% e quella contro i musulmani pure vede un aumento del 6,9%, legandosi soprattutto alla percezione degli eventi internazionali. Tuttavia, anche le donne rimangono nel mirino degli haters, in cui sono rientrati anche gli omosessuali, dovuto al concentrarsi delle polemiche contro o pro il convegno delle Famiglie di Verona, che ha avuto luogo lo scorso anno.

In secondo luogo, si è registrato un preoccupante aumento del clima di violenza verbale registrato sui social, soprattutto sulla base di un nuovo indice introdotto nell’analisi, ovvero il livello di aggressività. Nello specifico, spesso si è trovata una correlazione tra il linguaggio dei politici, sempre più caratterizzato da toni intolleranti e discriminatori, e l’aumento dei tweet razzisti e xenofobi. Questo rappresenta un grande problema in quanto tali discorsi ledono i principi di uguaglianza e solidarietà della nostra Costituzione, portando la gente a credere che queste parole d’odio che si moltiplicano sul web abbiano lo stesso peso di politiche pubbliche.

In terzo e ultimo luogo, fare che la distribuzione geografica dei tweet di odio abbia una serie di notevoli concentrazioni nelle grandi città. Per questo Roma è soprattutto associata con discorsi antisemiti sul web; e Milano con discorsi violenti contro la disabilità, l’Islam, l’omofobia, il sessismo e la xenofobia. Inoltre, altre città come Napoli, Bologna, Venezia, Torino e Firenze sono produttrici di tweet di questo tipo.

La xenofobia come vera piaga italiana

È giusto soffermarsi sulla categoria più odiata secondo i risultati dell’analisi dell’hate speech italiano, ovvero i migranti. L’odio verso questa categoria è in netta crescita e tra le città più intolleranti si deve evidenziare Milano.

Il fenomeno della migrazione è molto complesso, ma spesso i media e i discorsi politici distorcono la percezione dei dati empirici. Infatti, nel 2017, il numero di cittadini stranieri rispetto alla popolazione italiana era del 8,5%, ovvero una percentuale irrisoria, rispetto al numero di cittadini italiani. Inoltre, di questi, il 22% era residente a Milano, il 13,5% in Lazio, il 10,6% in Emilia-Romagna, ma anche in Veneto e in Piemonte.

Nello specifico, i casi di discriminazione in Italia secondo la mappa 4.0 sono aumentanti di oltre il 10% dal 2015 al 2017. Nel 2018, c’è stato addirittura un aumento del 70% degli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati. Inoltre, tra la popolazione italiana il 23.4%  pensa che gli immigrati in Italia siano troppi e il 35.6% ha paura di subire reati per colpa loro. Analizzando i risultati dell’ultimo report, nel 2019, ci sono stati 49.695 tweet negativi contro i migranti contro 24.756 tweet positivi sul tema. In particolare, i termini e le offese ripetono un linguaggio ricorrente sui social, che promuove e amplifica l’atteggiamento discriminatorio anche nella realtà.

Come difendere e difenderci

La gravità del fenomeno risiede nel fatto che questi messaggi di odio amplificano gli atti discriminatori nei rapporti sociali di tutti i giorni. Un dato preoccupante, per esempio nell’analisi dei tweet xenofobi, è che la maggior parte di questi tweet negativi provengono da personaggi politici. Da queste figure ci dovremmo aspettare la promozione dei valori fondanti della nostra società democratica e non di certo parole inneggianti all’odio.

L’hater non è più e non deve più essere un anonimo leone da tastiera, capace di lanciare parole e affermazioni violente senza nessuna conseguenza. Spesso, questo non si vuole nascondere, ma vuole diventare paladino di un nuovo discorso d’odio, per muovere masse silenziose in cerca di un capro espiatorio. Donne, migranti, musulmani ed ebrei, disabili e omosessuali sono al centro della polemica proprio per la loro vulnerabilità, che li rende facilmente disprezzabili. Secondo la psicoanalisi, l’odio si basa fondamentalmente sul riconoscere e l’elaborare e il fenomeno dell’hate speech. In questo contesto, i social media hanno il potere di amplificare i messaggi, ed è proprio sull’educazione all’uso di questi, unita alla promozione del dialogo, che bisogna lavorare per emarginare il disagio.

Per esempio, Vox Diritti nel 2018 ha lanciato, su Facebook e Twitter, la campagna #Ispeakhuman per combattere il cyberbullismo e educare i ragazzi al linguaggio dell’inclusione. Nonostante l’età, quindi, risulta necessaria oggi più che mai la promozione di una contro-narrazione efficace contro i discorsi dell’odio, ripartendo dall’educazione civica digitale e dai valori fondanti delle nostre democrazie.

 

A cura di

Silvia Crespi


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